«Sono onorato di essere in Italia a celebrare il compleanno di Jimi, che il 27 novembre avrebbe compiuto ottant’anni» esordisce Leon Hendrix, raggiunto telefonicamente in un hotel romano. Nato a Seattle nel ’48, songwriter, musicista, pittore, Leon è il fratello minore di Jimi Hendrix. Da qualche anno è impegnato in diversi progetti in ricordo dell’indimenticabile Jimi, morto nel 1970 a soli 27 anni dopo aver marchiato a fuoco la storia della musica. “In the name of Jimi” è un concerto per omaggiare il più grande chitarrista di tutti i tempi e fa tappa anche in regione: venerdì alle 21 al bar Posta di Pordenone (in collaborazione con Pordenone Blues, verrà anche esposto un prezioso cimelio) e domenica alle 20.30 al Teatro Fondazione Luigi Bon di Colugna, Tavagnacco (organizza IdeArtistica Aps con The Black Stuff Irish Pub Udine; in apertura Anthony Basso Band). Leon sarà supportato da una band d’eccezione: Pino Liberti alla batteria, Marco D’Angelo al basso e Fulvio Feliçiano alla chitarra, uno dei più grandi cultori italiani del fuoriclasse americano. 

«Li ho conosciuti circa sette anni fa – racconta Leon –, da allora sono venuto in Italia ogni anno, prima della pausa covid. Li amo, suonano alla grande». 

Cosa aspettarsi dal concerto?

«Di certo non suono come Jimi. Sono un po’ più “morbido”. In scaletta, oltre ai successi di mio fratello, includo alcuni pezzi dai miei album. Ma è tutto imprevedibile».

Lei ha cominciato a fare musica solo dopo i cinquant’anni, come mai?

«Ho iniziato quando ormai i miei figli erano grandi. Ho sentito questa spinta per sentirmi più vicino a Jimi. È come se mi fosse arrivata una sua chiamata: “suona la mia chitarra giorno e notte”, mi sono messo sotto, ed è diventata la mia professione».

Non un repertorio facile per cominciare.

«Era così creativo, un genio: all’inizio non mi cimentavo con le sue canzoni, troppo complesse, ci sono arrivato col tempo. Più che un musicista era un messaggero, di una forza ultraterrena». 

È stato il più grande chitarrista di sempre. Non si sente in soggezione?

«Lo so, nessuna pretesa di emularlo. Il mio obiettivo è di ampliare il mio repertorio e suonare la mia musica. Ma per ora mi piace radunare gli amanti di Jimi in giro per il mondo, in suo onore».

Come rendergli omaggio nella maniera più rispettosa possibile?

«Non lo sta facendo mia sorella adottiva, con la quale ci sono delle dispute legali. Vorrebbe addirittura impedirmi di suonare i pezzi di Jimi, pazzesco. Pace e amore, professava mio fratello: è sempre la via da seguire. Suono con rispetto e integrità, non lo faccio per “venderlo”, lui è al di sopra di tutto ciò». 

Che ne pensa della folle leggenda di un Jimi ancora vivo, su un’isola deserta?

«L’ho sentita migliaia di volte! Ma in fondo lui è qui, nel presente, con noi. La sua musica lo ha reso immortale».

Sono stati anni rivoluzionari, quelli vissuti intensamente da Jimi. Oggi la musica ha ancora a che fare con la rivoluzione?

«Ripeto, dovrebbe tornare in auge il motto di allora, “peace and love”, pace e amore, ne abbiamo bisogno e cosa c’è di più rivoluzionario? Tutti ascoltano musica al mondo, e allora perché non usarla in questo senso? È l’arma più potente che abbiamo». 

Elisa Russo, Il Messaggero Veneto 25 Novembre 2022  

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