«Il quotidiano di Trieste? Il Piccolo! Lo leggo», dice Marc Ribot, in italiano. Uno dei chitarristi più apprezzati al mondo, da New York arriva per un’unica data italiana del “Songs of Resistance Tour” sabato alle 21 al Teatro Pasolini di Cervignano per Euritmica, in quartetto con Jay Rodriguez al sax e flauto, Nick Dunston al basso, Nasheet Waits alla batteria. Già domenica è arrivato a Trieste «Dove vive – dice Ribot – la mia fidanzata». «Non so se è la parola giusta – aggiunge – insomma, è la mia ragazza». E sempre parlando della città, la prima cosa che gli viene in mente, ridendo, è… “il formaggino” (riferendosi al nomignolo del tempio di Monte Grisa). «E poi un sacco di bei ristoranti. Da casa nostra vediamo il mare, e guardavo le barche per la Barcolana. A novembre ho anche sfilato al corteo anti fascista. In questi giorni spero di non essere “portato via” dalla bora e conto di assaggiare qualche nuovo piatto locale».
Ha collaborato anche con la cantante Rosita (Ziroldo) Kèss, che ha vissuto a Trieste e oggi ha un locale a New York.
«Grande Rosita, ho tenuto un concerto da lei al Bar Lunatico un paio di settimane fa».
Ha suonato con Vinicio Capossela, ha espresso un apprezzamento per il cantautore triestino Toni Bruna, chi altri conosce?
«Ho incontrato tanti musicisti, Anna me ne ha presentati diversi, per esempio Flavio Davanzo che suona la tromba con lei; ma ho una pessima memoria con i nomi».
Nell’album “Songs of Resistance 1942 – 2018” ci sono ospiti cantanti come Tom Waits, Steve Earle, Meshell Ndegeocello, Justin Vivian Bond, Fay Victor, Sam Amidon, Ohene Cornelius. Dal vivo come riproduce i pezzi?
«Registrato il disco, non sapevo proprio come portarlo live. Impossibile avere tutti questi musicisti, non posso pensare che Tom Waits, dalla California, venga in tour con me per cantare una canzone a Udine. All’inizio volevo prendere almeno qualche cantante con cui dividermi i pezzi, mantenendo gli arrangiamenti del disco. Dopo un esperimento in questo senso al Winter Jazz Festival, ho buttato tutto nel cestino dicendomi: “Questo non sono io!”. Mi sono reso conto che avevo arrangiato quelle canzoni per i cantanti che hanno partecipato al disco, e se decidevo di interpretarle io stesso, dovevano cambiare».
E poi?
«Ho azzerato tutto e ho portato il nuovo concerto a New York, proprio al Lunatico di Rosita. Non abbiamo fatto neanche una prova. Ci siamo presentati lì a suonare in stile free jazz. Ed è andata molto meglio. A Cervignano proponiamo una via di mezzo tra questa formula e quello che potete sentire sul disco. Stiamo tornando a quelle canzoni, ma con un margine di improvvisazione».
La sua versione di “Bella Ciao/ Goodbye Beautiful”, cantata da Tom Waits, è stata anche inclusa nell’ultimo episodio di “Iggy Confidential” di Iggy Pop sulla Bbc. Lei come la scelse?
«La conoscevo già e un’amica italiana me l’ha fatta risentire. Avevo bisogno di immaginarla in una maniera differente, doveva avere un senso per me. Nel rispetto del suo significato politico, non volevo riprodurla come una marcia (e non sto criticando le canzoni da marcia, c’è bisogno anche di quelle ma non è nel mio stile). Leggendo la traduzione del testo ho capito che è molto bella oltre che triste e personale. È il momento in cui si dice addio a chi si ama. Non tutti vanno eroicamente a combattere, ma quando ci si dedica all’attivismo si dice addio a un sacco del proprio tempo e su questo aspetto ho sentito vicinanza».
In passato diceva di non voler mettere la politica nella sua musica. Cosa le ha fatto cambiare idea?
«In una parola: Trump. Non voglio esagerare, ma se guardi a come si stanno evolvendo le cose con Trump, Salvini, Bolsonaro, capisci che non sono incidenti isolati: ci stiamo muovendo verso tempi pericolosi».
Ha dichiarato che oltre ai testi, anche la musica può essere politica.
«Qualcuno si rivolta contro il sistema, ma ci si può ribellare anche al ritornello, alla musica tonale, a quella noiosa, a quella commerciale, a chi ha accesso a farla o ascoltarla. C’è politica anche nel modo di fare musica. Oggi un giovane deve pagare per registrare, per incidere e distribuire la sua musica, mentre i colossi del digitale (YouTube, Google) stanno facendo milioni di dollari senza pagare un centesimo gli autori».
Elisa Russo, Il Piccolo 5 Febbraio 2019