Intervista Mimì Clementi, MASSIMO VOLUME in concerto al Teatro Miela il 13.04.19

«L’arte è comprendere i propri limiti e farli diventare delle opportunità»: Emidio Clementi spiega il segreto del successo dei Massimo Volume, nati nel fermento creativo della Bologna dei primi anni ’90, crearono qualcosa di nuovo, con il tratto distintivo della sua voce che narra più che cantare: «La nostra forza – continua – è stata quella di capire quali fossero i nostri limiti e sfruttarli. Io non sapevo cantare, qualcuno si sarebbe fermato lì, e invece abbiamo trasformato il fatto di non avere un cantante vero e proprio in uno stile e credo sia una qualità che deve avere chi vuole fare strada in campo artistico, altrimenti si diventa didascalici: vedo tanti chitarristi che sono stati lì anni per impararsi delle scale velocissime e poi vanno a finire a lavorare nei negozi di strumenti musicali». Cantante, bassista e scrittore, per gli amici Mimì, Clementi è da sempre accompagnato da Vittoria Burattini alla batteria e Egle Sommacal alla chitarra. Sabato alle 21.30 sono in concerto al Miela, se non si conta una tappa (sempre al Miela) nel 2009 per il Science Plus Fiction Festival, con la sonorizzazione de “La Caduta Della Casa Degli Usher” di Jean Epstein, si può dire che l’ultimo vero e proprio concerto in zona risale a molto tempo fa, nel 1995 a Bagnoli della Rosandra: «Ricordo ancora – racconta Clementi – che ci eravamo persi ed eravamo arrivati al confine con la Slovenia».

Con che spettacolo presentate il nuovo lavoro “Il Nuotatore”?

«Nella scelta della scaletta abbiamo privilegiato gli ultimi tre dischi quindi eseguiamo tutto l’ultimo e poi qualcosa da “Aspettando i barbari” del 2013 e “Cattive Abitudini” del 2010, peschiamo meno dal repertorio degli anni ’90. La novità di questo live è la chitarrista Sara Ardizzoni (Dagger Moth) che sostituisce Stefano Pilia (impegnato con gli Afterhours e altri progetti). Suonando nei teatri ci siamo potuti permettere anche un aspetto scenografico più curato rispetto a quando suoniamo nei club. All’inizio avevamo un po’ paura che il pubblico seduto creasse distacco tra palco e platea ma alla fine ha funzionato e abbiamo sentito il calore, tanto affetto in questa decina di date teatrali».

Un seguito di fan attenti e fedeli?

«Piuttosto trasversale, ci sono i coetanei che magari ci seguono da sempre ma vediamo anche giovanissimi che magari ci vedono per la prima volta».

Incidete ora per la 42 Records. Avete cambiato spesso etichetta?

«Considerando che stiamo assieme da trent’anni neanche tanto. Siamo stati parecchio con la Mescal, i due precedenti erano usciti con La Tempesta di Pordenone. Abbiamo cambiato anche booking, non potendo cambiare noi cerchiamo un po’ la freschezza dei rapporti nuovi».

I suoi testi sono impegnativi. Si possono ascoltare i Massimo Volume in sottofondo o serve attenzione totale?

«Per questo disco in particolare – certo c’è il mio stile, la mia poetica – mi piaceva l’idea che i testi arrivassero un po’ dopo la musica, privilegiando la ritmica. Per questo ho lavorato molto sulle rime. Sta volta rispetto al passato credo abbiamo dato una giusta distanza alla voce. Direi che si può ascoltare senza soffermarsi subito sui testi, che magari poi incuriosiscono in un secondo momento».

Nei testi cita Novalis, Basinski, Bela Lugosi, Chopin, Ellroy, John Cheever, Nietzsche (con cui addirittura immagina di passeggiare a Venezia)

«Io rubo molto, sono uno curioso, certo mi documento ma non è che se parlo di storia devo essere per forza un esperto. Prima mi ha intervistato una rivista di cinema e siccome nel tempo ho messo tanti riferimenti ai western pensava fossi un esperto del genere, ma magari ho solo in testa due scene che mi hanno catturato e le faccio mie. Un articolo, una foto, una frase di un poeta, un cantautore, uno scrittore sono i miei punti di partenza perché mi sembra abbiano una concretezza maggiore rispetto a creare mondi che non esistono».

Il tema del coraggio ricorre nell’ultimo cd. In “Una voce a Orlando” prova a immedesimarsi in una vittima di un attentato terroristico.

«Capita spesso di immaginarsi queste situazioni, mi piacerebbe essere pronto. Credo ci siano situazioni in cui però non hai vie d’uscite se non lasciarci la pelle. Mi sono chiesto se sono coraggioso e mi sono risposto che ci sono diversi tipi di coraggio. Sono molto pavido fisicamente, già buttarmi da un muretto mi fa paura, non ho voluto neanche la patente ma ho fatto scelte nella vita che tanti mi hanno detto “io non le avrei mai fatte”».

Su questo tema, visto che il titolo è “Il Nuotatore” viene da pensare a Manuel Bortuzzo e la sua coraggiosa reazione. Viene da pensare: “se fossi rimasto paralizzato per un colpo di pistola come avrei reagito”?

«Ho fatto la stessa riflessione. Lui ha avuto subito la forza, l’abbiamo visto con il sorriso. È anche vero che difronte a certe tragedie ci si mette del tempo per realizzare in pieno quello che è successo, spero non sia così per lui ovviamente».

Elisa Russo, Il Piccolo 10 Aprile 2019

Massimo Volume

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