INTERVISTA MINISTRI, AL DEPOSITO GIORDANI (PN) 05.03.16

MINISTRI_2015_2Sabato alle 21 i Ministri sono in concerto al Deposito Giordani di Pordenone; in apertura i Mondo Naif da Treviso. I milanesi Ministri, da più di dieci anni in pista, sono un nome di punta del rock Made in Italy. Dopo i sold out in locali importanti come l’Alcatraz o l’Estragon, arrivano anche in regione per promuovere il loro quinto album, «Cultura Generale» (Godzillamarket/ Warner). L’accoglienza del pubblico è stata finora notevole, ed il loro ultimo disco ha raggiunto la terza posizione nella classifica dei dischi più venduti in Italia. Per ognuna delle 15 date del tour in corso, la band mette in palio un doppio vinile di «Per Un Passato Migliore» (il disco precedente) realizzato a mano e in copia unica. Se lo potrà aggiudicare il fortunato che pescherà il plettro giusto da un’ampolla, al banchetto del merchandising al Deposito. «Mi piaceva l’idea di realizzare un oggetto unico, che poi non avremo neanche noi», commenta Federico Dragogna, paroliere, chitarra e cori della band, il cui cognome svela le origini istriane: «Mio papà si trasferì a Milano a vent’anni per studiare medicina, ma la sua adolescenza l’ha passata a Trieste (la sua famiglia veniva dall’Istria). Tra Trieste e Duino ho zii e parenti, ci sono passato spesso e ho avuto fidanzate triestine. C’è una luce e un’aria diversa, mi piace così tanto che quando ci passo qualche giorno do pure un occhio agli annunci immobiliari! È una città che amo tantissimo. Sul dialetto sono ancora poco ferrato, ma so che dite un sacco di volte “indiferente”».
E la musica triestina?

«Mi contattano tante band attualmente, ma mai nessuna della vostra zona. Ho un ricordo di diversi anni fa dei Trabant e di Abba Zabba. Ricordo il Tetris, l’Etnoblog in cui suonammo anche nella prima sede, nel 2007. Purtroppo ho sentito che ha chiuso e quindi immagino ci sia il deserto: spero che la situazione si risollevi presto perché abbiamo molta voglia di tornarci a suonare. Però ho saputo che almeno ha aperto un nuovo negozio di dischi in città».

Il segreto del vostro successo?

«Il meccanismo dei talent porta a saltare i passaggi, chi esce da lì magari poi fa una canzone e un anno dopo tutti se ne sono dimenticati.

Una band come la nostra, che ha fatto veramente la gavetta sudando sui palchi di mezza Italia, invece, quelli che riesce a convincere è difficile perderli, è difficile che la gente ti dimentichi. Ti crei una credibilità che non potresti costruirti in nessun altro modo. Sono passati 10 anni dal primo disco, ma prima c’erano altri 5 anni fatti di concerti nei pub, tentativi…».

Il momento in cui avete percepito il salto di qualità?

«Non è arrivare su un certo palco, o passare in radio o tv. È vedere che una persona si sta interessando alle cose che stai facendo in una maniera diversa, a volte quasi “fanatica”, con fan affezionati – per capirci – come quelli che ha Vasco. Ed è bellissimo che ci siano persone che stanno prendendo così seriamente quello che stai facendo. Quando gli altri cominciano a cantare la tua canzone è veramente il punto di svolta. A noi è successo alla fine del 2008».

La musica è centrale. Poi c’è la comunicazione.

«Io curo da sempre la nostra comunicazione e ci siamo inventati qualsiasi cosa. Ed è stato per dare un’idea di tutto il nostro immaginario. Per esempio, da quando abbiamo cominciato a suonare, ho fatto una locandina dedicata ad ognuno dei 500 concerti. Questa cosa in rete è diventata un’attesa, la gente oltre che attendere il concerto attende la locandina e mi devo sempre inventare qualcosa di nuovo. Devi tenere vivo l’interesse, una band fa un album ogni due anni e quindi se hai ancora delle cose da dire devi trovare altri modi».

“Cultura generale”: c’è continuità con i dischi precedenti?

«È un percorso, la prosecuzione di un discorso. Sicuramente è molto diverso il metodo di produzione, molto grezzo, non esiste postproduzione, suoniamo tutti assieme. Gli altri album nascevano molto in studio e dalle potenzialità tecnologiche, utilizzando mille magie. Invece con “Cultura Generale”, una volta registrato non ci sono stati trucchi. Lo fa suonare molto più scarno, però anche molto vero, quindi è molto bello portarlo dal vivo perché la gente sente che i pezzi sono identici. Non abbiamo il problema di molte rock band che fanno un disco che poi non riescono a riprodurre dal vivo. La gente se ne è accorta. Il rock va ascoltato con un certo volume e con un certo coinvolgimento. Se ascolti il nostro disco con le casse del computer, non ti stupire che non ti spettini».

La scena milanese: cosa resta del passato e cosa c’è di nuovo?

«Stimo gli Afterhours, tutta la scena che comprendeva anche Casino Royale, Ritmo Tribale (poi Edda e NoGuru), sono sempre stati squisiti con noi, come zii o fratelli maggiori ma senza paternalismo… tutte persone di grandissimo cuore che hanno ancora molte cose da dire. Adesso a Milano c’è una scena che tiene insieme persone non necessariamente di Milano, perché oggi molti musicisti si spostano lì e si è creata una rete di amicizie: noi, Dente, Le Luci, Tre Allegri Ragazzi Morti… c’è qualcosa che ci tiene insieme più da un punto di vista umano che artistico».

Elisa Russo, Il Piccolo 05 Marzo 2016

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