Intervista Nidi d’Arac al Teatro Miela il 12.10.18

«Non usciva un nostro album da due anni e per i ritmi della musica oggi (gli artisti fanno un disco all’anno), sembriamo in ritardo. Io mi rifiuto di fare così velocemente perché penso serva una grande riflessione prima di fare musica, il nostro è un progetto in cui la ricerca è importantissima»: il frontman Alessandro Coppola annuncia così “Face B” (“lato b” in francese) il nuovo lavoro dei suoi Nidi d’Arac che verrà presentato venerdì alle 21.30 al Miela (primo appuntamento della stagione Miela Music-Live), proprio nel giorno dell’uscita. Un disco post moderno, italiano ma allo stesso tempo internazionale: riafferma un legame con la tradizione, inserendo ritmiche tipiche nella newafro e rivelandosi in una molteplicità stilistica che non esclude chitarre psichedeliche o incursioni di rock inglese, “Face B” nasce dall’esperienza musicale di Coppola a Parigi, dove vive da nove anni e dove è venuto a contatto con la trap e l’afro trap lavorando come responsabile della parte artistico-musicale di un centro dedicato ai giovani a rischio e basato sull’Educación popular, un ramo della pedagogia volto all’apprendimento durante la pratica, nel contesto urbano di provenienza.

Coppola, l’influenza dell’afro trap è la novità di “Face B”?

«Ho voluto condividere questa mia esperienza parigina con i miei compagni di band che non vivono qui. Conosco molto bene questo genere perché ci lavoro, accompagno professionalmente dei giovani artisti a Parigi (sono stato ingaggiato dal Comune) e molti di loro fanno trap. In realtà bisogna accettare l’evoluzione della musica. Con la produzione dei nuovi brani abbiamo adattato al nostro suono anche questo genere. Abbiamo architettato una sonorità nuova, che è autentica e frutto di sperimentazione. Spero piaccia».

E a livello tematico?

«Parigi è una città molto africana, il rap e la trap nascono nei grandi centri urbani da un movimento africano (come succede per il blues, il soul, l’r’n’b), quindi bisogna prendere in considerazione questa urbanità africana. Il rap nasce nei ghetti neri, viene poi occidentalizzato dai bianchi e in questo momento l’Italia come l’Europa sta vivendo un bruttissimo fenomeno di razzismo, un momento di non accoglienza e integrazione. Abbiamo voluto dare il nostro contributo e quindi parliamo di convivialità e di un razzismo becero che ovviamente noi rinneghiamo».

Il tour parte proprio da Trieste.

«I Nidi nascono a Lecce, all’estremo Sud-Est, Trieste è all’estremo Nord-Est, a livello energetico mi sembra una buona asse per partire. Dal punto di vista sentimentale, ho un bellissimo ricordo del Miela dove abbiamo già suonato, ricordo una città stupenda dove la cultura ha una certa importanza e un pubblico molto caloroso, predisposto alla ricezione il che rende la comunicazione piacevole».

Sul palco?

«Oltre a me e al bassista Edoardo Targa, ci sono i più giovani Federico Leo alla batteria e Sebastiano Forte alla chitarra. Torna la nostra violinista storica H.e.r. (Erma Castriota), ci lasciò nel 2000, ha avuto la sua carriera solista e a distanza di vent’anni ci ritroviamo con molta più esperienza e consapevolezza».

Dal Salento si era spostato a Roma e infine in Francia.  

«Resta il mio legame con l’Italia e con il dialetto salentino, usato come sempre nei testi».

L’uso del dialetto in musica non è così diffuso.

«No, tranne la parentesi napoletana, per me un riferimento di altissimo valore (a partire da Carosone fino a Pino Daniele, Enzo Avitabile). E negli anni Novanta, quando abbiamo esordito noi, era una cosa abbastanza comune: dai conterranei Sud Sound System agli Almamegretta, Agricantus, 24 Grana, 99 Posse, Mau Mau; ha caratterizzato uno sviluppo della world music italiana molto importante, l’Italia era all’avanguardia. Nei ’90 si parlava di “glocal”: partivamo dal nostro paesino per arrivare al mondo».

Alcuni artisti rinnegano l’etichetta “world music”.

«Bisogna catalogare, definire, servono gli hashtag e le parole chiave… è abbastanza complicato. Io stesso non so come definire il nostro genere. Usiamo “Musique du monde” o “World music” anche se non vuol dire niente. Più che altro è un movimento fondato da Peter Gabriel negli anni 80 con la sua Real World, un’operazione tra il commerciale e il culturale, che ha l’apice con il festival Womad (a cui noi abbiamo partecipato spesso, in Australia, Inghilterra, Nuova Zelanda, Spagna)».

Elisa Russo, Il Piccolo 9 Ottobre 2018

Nidi d'arac

 

 

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