
Venerdì alle 22 Paolo Benvegnù presenta il suo nuovo album «Earth Hotel» (Woodworm) al Circolo Etnoblog di Riva Traina 1/3. La serata è organizzata in collaborazione con il Gruppo Tetris e rientra nella rassegna “BreezeBlocks: live music is not dead”. Sul palco accanto al cantautore lombardo (voce e chitarra) ci sono Luca Baldini al basso, Andrea Franchi batterie, chitarre, synth, pianoforte, Marco Lazzeri al pianoforte ed il sound engineer Michele Pazzaglia (assente, per un paio di date, Guglielmo Ridolfo Gagliano – chitarre, synth, pianoforte).
Il tour è partito alla grande ma ha poi subito un piccolo stop. Racconta Benvegnù:
«Sto uscendo da un’influenza mostruosa che mi ha costretto ad annullare le date dello scorso weekend. Ora sto meglio. Ci teniamo molto a suonare a Trieste, siamo passati di lì anche quando abbiamo realizzato l’album: registrato a Città di Castello e poi mixato allo studio Jork di Dekani (Capodistria), che per noi è ormai una situazione famigliare. Gli italiani dovrebbero uscire dall’Italia più spesso per vedere le cose in maniera molto più semplice. A me ha fatto benissimo. E poi trovo sempre tutti molto accoglienti, sia da una parte che dall’altra del confine. Sono contentissimo di suonare all’Etnoblog, finora l’ho visitato solo alcune volte come fruitore di concerti. Il posto ci piace molto. Faremo un concerto in bilico tra le cose nuove e le cose antiche. Noi siamo un gruppo di improvvisatori goliardi e vedremo cosa succederà a Trieste».
Negli anni si è trasferito dalla Lombardia in Toscana e ora?
«Sono venuto a Città di Castello perché Pazzaglia lavora qui in studio, il posto è meraviglioso e gli affitti costano meno. Ci sono questi giardini splendidi… Mi dà una certa possibilità di guardare il mondo con il giusto distacco».
Questo disco è più cupo e malinconico rispetto ai precedenti?
«Non penso. Semplicemente ho capito alcune cose. Ad esempio quanto ci facciamo prendere dalle nostre faccende in questo transito mentre invece, se le cose si vivono partendo dall’assioma che tutto è miracoloso, è tutto molto più semplice, più bello, meno infantile. L’altra cosa che ho capito è che gli uomini hanno grande bisogno di amore, nel senso stretto della parola: a-mors cioè allontanarsi dalla morte e quindi ogni gesto che facciamo è un atto di amore. Sotto questo punto di vista la vita è meravigliosa. Poi ovviamente per arrivare a questa consapevolezza mi si è spezzato qualcosa dentro, ma è una cosa mia. Alla fine sono più sereno. Sono un po’ meno ingenuo del solito, forse. Si sa che gli esseri umani di sesso maschile o sono completamente ingenui o sono completamente idioti!».
Il precedente disco era stato preceduto da letture cha andavano dalla Bibbia a Moby Dick. Questa volta cosa leggeva?
«Due meravigliosi filosofi, saggisti, due persone così sagge da non essere sagge: Cioran e Ceronetti. In un’epoca in cui il supereroismo sembra essere l’unica salvezza, leggere uomini con tutti i loro dubbi e il loro scetticismo mi ha molto confortato. Ma più che leggere sono stato fermo ad aspettare che arrivasse qualcosa ed è arrivato tutto con grande difficoltà e con grande calma; è stato più un avvicinarsi al vuoto che un mirare a qualcosa. Anzi non ho mirato proprio a niente, non sapevo neanche cosa facevo. Quindi è stato un iter molto diverso e molto più vero, non c’è niente di cercato in questo disco».
Oltre ai concerti con la band ha fatto una serie di presentazioni nelle Feltrinelli, che differenze ci sono tra le due esperienze?
«I primi concerti sono andati bene. Quando sono all’opera, mentre faccio i dischi, capisco poco dei brani, ne capisco di più nei mesi dopo quando li canto dal vivo. Quando sono da solo alle presentazioni, invece, sono sempre imbarazzato. Sono disadattato e fuori contesto. Faccio un po’ più fatica. Sono più tranquillo quando sono con la band. Una volta avevo più desiderio di spiegare le cose agli altri. Ma tanto ognuno comprende quello che vuole comprendere, soprattutto adesso, in un momento di sovrabbondanza d’informazioni. Siamo in un mare enorme, mi viene da sorridere come se vedessi un film di Jaques Tati di cui faccio parte».
Con la moltitudine di siti aumentano le quantità di recensioni. Le segue?
«Io cerco di non leggere niente perché ce ne sono talmente tante… Sono tutti capolavori od opere miserrime senza una misura, senza che ci siano degli interlocutori a pieno titolo quindi non ascolto mai quello che gli altri dicono di me e raramente ascolto quello che gli altri dicono di altri. Prima, per caso, ho scoperto un gruppo che si chiama Santo Barbaro e mi sembrano molto bravi e vorrei andare a vedere un loro concerto. Però non mi fido molto dei recensori. È un po’ come la differenza tra Wikipedia ed i primi enciclopedisti francesi. Così c’è una grande differenza oggi con chi scrive. La sovrabbondanza di foto, letteratura, musica, giornalismo fruibile alla fine innesca una sorta di nausea e quindi cerco il silenzio e guardo le case, gli uomini che ci vivono, gli animali, gli alberi, gli scoiattoli, i cani e i gatti. Questa è la fase attuale della mia vita, ma non ho vent’anni ne ho cinquanta e magari è normale arrivare a questo tipo di approccio verso le cose. Penso a Pessoa “il poeta è fingitore” mi sembra che tutti siano fingitori e allora il poeta deve svenarsi per trovare verità assoluta altrimenti ci si perde».
Prossime mosse?
«Il nuovo singolo e video dovrebbe uscire a gennaio, con il brano “Orlando”. Non passeranno altri tre anni per il prossimo disco, ho voglia di scriverlo prima!».
Elisa Russo

