«Mi ha sempre attratto di Trieste la grazia con cui discende verso il mare, mi ricorda un po’ Lisbona. E poi le mule non le vogliamo considerare?»: Paolo Conte è pronto per il concerto di sabato, alle 20.30 al Politeama Rossetti, una serata di musica e impegno a favore dell’AIRC (i fondi raccolti andranno alla ricerca sui tumori pediatrici). «Se suonando si può anche far del bene e aiutare la ricerca – afferma l’artista astigiano -, la musica è ancora più bella». “Fifty Years of Azzurro”, questo il nome del tour, è partito a fine 2018 con l’uscita del nuovo doppio album “Live in Caracalla – 50 years of Azzurro”.
Conte, che spettacolo propone?
«Undici musicisti sul palco e un repertorio di brani vecchi e nuovi. La scaletta è costruita con un minimo di libertà da parte mia nello scegliere le canzoni in un repertorio piuttosto vasto».
“Azzurro” fu da subito un grande successo in Italia e nel mondo.
«Nata d’inverno e ispirata all’estate, ha avuto in Celentano l’interprete ideale, il successo lo devo a lui. Che fosse una canzone vincente l’avevo capito subito, scrivendo si impara che c’è un peso specifico diverso tra una canzone e l’altra. Mi piace fare musica perché nasce dal niente, dal vuoto, è così forte da costruire lei stessa la pagina».
Nel recente “Live in Caracalla” c’è anche un brano inedito, “Lavavetri”. Cosa l’ha ispirato?
«La faccia simpatica di un giovane lavavetri, la sua rapidità e il suo sorriso magnifico; è una storia vera, ne ho incontrato uno gentilissimo, faceva benissimo il suo lavoro, insomma si meritava la mancia».
Per un artista meglio esporsi, prendere posizione o lasciar parlare solo la musica?
«La musica in sé è già carica di significati. Il pubblico ha sempre diritto alla sua immaginazione. La libertà del mio pubblico la voglio sempre salvaguardare a tutti i costi, perché non voglio mai lasciare dei messaggi, imprimere delle opinioni precise, ma voglio lasciarli sognare, ciascuno coi suoi colori, ciascuno con le sue esperienze e con la sua sensibilità».
Ha dichiarato che i cantautori di una volta fossero persone più colte di quelli delle ultime generazioni…
«Sì, questa è l’impressione, ma non sono abbastanza informato sulle ultime leve. Forse si è perduta la letterarietà che era vagheggiata dai cantautori di un tempo. La lingua italiana è molto difficile da praticare con la musica per ragioni di ritmi, accenti, lunghezza delle parole, mancanza di tronche… Buona per l’opera ma meno per la musica ritmica. La poeticità bisogna concederla non solo alla parte letteraria, ma anche alla musica. La musica deve essere poetica, l’interpretazione deve essere poetica, il rapporto che si stabilisce con il pubblico deve essere poetico».
Cos’ha il jazz di diverso dagli altri generi?
«La qualità del jazz è che somiglia al teatro. Il musicista di jazz quando celebra la sua performance in pubblico si muove come un attore, un cantastorie, un poeta, tira fuori una teatralità che nelle altre musiche non riesco a trovare. Il jazzista ti arriva davanti e ti racconta una storia dritta in faccia. A un giovane consiglierei di ascoltare il jazz primitivo e rivoluzionario degli anni ‘20, Louis Armstrong, Earl Hines, Art Tatum».
Una vita piena di impegni professionali: come ha fatto a conciliare tutto?
«Ho un management molto accorto e sensibile».
Ha annunciato alcune date all’estero per i prossimi mesi, quali saranno gli altri impegni che la aspettano?
«Colonia, Parigi, Monaco. E poi ci sono trattative in corso. Le richieste sono tante».
Elisa Russo, Il Piccolo 17 Maggio 2019