Intervista Radio Zastava all’Hangar Teatri il 18.01.20

«Veniamo dal caos dei nostri tempi e abbiamo una visione piuttosto nichilista e apocalittica, la nostra società sta andando in picchiata libera verso il nulla, non prevede nessun tipo di sana socialità, di ribellione, essere insetti significa per noi essere apatici, accettare supinamente le imposizioni di un sistema che è veramente subdolo e in questo la rete sta facendo dei danni, brulichiamo riempendo i centri commerciali, accettiamo lavori sempre più degradanti per spendere i soldi in cose futili, manca empatia, ogni insetto pensa a sé stesso. È un amaro destino». “Insetti” è il nuovo album dei RadioZastava, terzo capitolo discografico della loro storia cominciata nel 2005. Hanno suonato in tutta Europa, condiviso il palco con Kultur Shock, Boban Marković, Emir Kusturica e Goran Bregović, aperto la cerimonia funebre per la regina del circo Moira Orfei, la loro musica è stata scelta per film come “Easy” di Andrea Magnani e il visionario colossal marocchino “Catharsys or the Afina tales of the Lost World” di Yassine Marco Marroccu (grazie a cui sono stati recentemente premiati per la migliore musica originale al Tangeri Film Festival), tornano in concerto a Trieste il 18 gennaio alle 21.30 all’Hangar Teatri.

«Siamo geograficamente ben distribuiti – racconta Leo Virgili (trombone, theremin, chitarre) – tra friulani, balcanici, goriziani (Davide Cej alla fisarmonica, Predrag Pijunovic al tapan, Nico Rinaldi al sax e Stefano Bragagnolo alle percussioni) e ora abbiamo ben tre triestini: Gabriele Cancelli alla tromba, Walter Grison al sax e Roberto Amadeo al basso».

Un collettivo, più che una band?

«Abbiamo cominciato suonando in strada e per fare tanto rumore dovevamo essere numerosi. Col passare degli anni il nostro suono è cambiato e ci siamo avvicinati all’organico di una band rock o jazz, però abbiamo un modo di lavorare assieme collettivamente dal punto di vista creativo, ognuno porta in dote qualcosa, chi viene dal jazz, chi dall’elettronica o dal folk, il rock, il punk, la balkan e finalmente nel disco nuovo c’è dentro tutto questo».

Il singolo “O.C.P.C.P.C.” ha sfumature quasi krautrock.

«Vi faccio notare che il titolo è in triestino: “oci pici pici” (occhi piccoli piccoli). È il brano più semplice e orecchiabile, il nostro singolone, ne faremo anche il video».

Nelle note stampa dite di esservi formati nella multiculturale Gorizia. È ancora così?

«Oggi è più buia, molto diversa da quando abbiamo cominciato a suonare. Nonostante la sua vocazione mitteleuropea, il suo essere storicamente crogiuolo di popoli, ora è conservatrice e poco interessante da un punto di vista culturale».

I musicisti di solito inorridiscono alla definizione “world music”. Voi?

«Perché vuol dire tutto e niente, è musica popolare, ogni popolo ha la sua, l’etichetta world la puoi applicare a qualsiasi cosa appartenente al pianeta terra, per noi è stato un po’ un traino e un po’ un limite».

Dite: “siamo lontani dai cliché degli zingari felici con le galline nel cortile”. Quindi, neanche balkan?

«In passato abbiamo anche collaborato con Bregović e Kusturica in maniera proficua, ma oggi il balkan ci sta stretto, tentiamo di proporre una nuova identità che va al di là dei generi».

Una band così forte dal vivo in studio come ricrea la magia?

«Per questo disco abbiamo capito che l’unico modo per mantenere quell’immediatezza è registrare quasi tutti i brani in una session dal vivo in studio e abbiamo ritrovato quell’alchimia dei concerti che non eravamo mai riusciti a replicare prima».

Vi siete affidati a un produttore?

«Otto teste anarchiche come le nostre faticherebbero ad ascoltarne uno, però dobbiamo ringraziare il triestino Daniele Dibiaggio (Lademoto Records, Al Castellana), splendido e gentilissimo, che è stato il nono membro del gruppo, ha mixato il disco con noi e ci ha aiutati».

 

Elisa Russo, Il Piccolo 15 Dicembre 2019

RadioZAstava

 

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