È uscito il debutto discografico della cantante veneto-triestina Rosita Ziroldo. Una voce intensa, emozionante, che conquista nelle undici tracce di questo cd intitolato «Almost…me». Le basi sono state registrate a Trieste, alla scuola di Musica 55; sovraincisioni, voci e arrangiamenti sono stati curati al Peppermint Park Studios di Hannover. «Mentre ero lì c’erano gli Scorpions che facevano le prove per il tour mondiale – racconta Rosita -, il chitarrista si è innamorato della mia canzone “Gone” e ha partecipato con un assolo che ha dato un tocco psichedelico. Il mio produttore, Mousse T passava di lì mentre lavoravamo e magari gli veniva un’idea, un suggerimento: è nato tutto così, in maniera veloce e naturale. È stata l’esperienza più forte della mia carriera musicale. Ho vissuto per un mese giorno e notte in quello studio con grandi pause, grandi cene: cucinavo per tutti! È stato bellissimo».
Come definirebbe il suo debutto?
«È un disco molto folk, con delle sonorità che richiamano un po’ l’Irlanda, un po’ suoni orientali, sonorità indiane. Ho voluto trarre un po’ di “sapori di terra”. È musica onesta, un disco puro. L’ultimo pezzo è stato registrato in presa diretta, a mia insaputa. Mi sono messa al piano e James Kakande mi ha registrato, si sentono i passi, si sente che tossisco mentre suono! È un pezzo molto caldo, magari è impreciso ma è spontaneo e ne vado fiera. C’è poi il tocco magico ed etnico del violinista triestino Alessandro Simonetto, che ha lavorato con Capossela e con molti altri musicisti. Il triestino Pow Lean mi ha ispirato alcuni pezzi, è stata una gioia duettare con lui in Piazza Unità in occasione della Barcolana».
I suoi modelli ispiratori?
«Traggo spunto da Ani DiFranco, Natalie Merchant, Jolie Holland, Feist, Jamie Lidell, dal connubio di soul e reggae di Ayo. Poi c’è stato l’incontro con Gonzales a Parigi che è stato fulminante. È un grande artista, mi ha dato ispirazione: vedi quanto poco basta per fare musica. Lui dice:“Laughs and tears are the same thing”, risate e lacrime sono la stessa cosa. È un’unica corda che tocchi, può essere più grave o più acuta…».
È una giramondo, ha suonato in Francia, Inghilterra, Spagna, Germania ed è ora a New York. L’Italia le sta stretta?
«Sono satura dell’Italia, del sistema che c’è, della mentalità: terribilmente provinciale e chiusa, non vedo l’ora di scappare. Se non fosse per l’energia che assorbo ogni volta che vado via, sarei così demoralizzata che forse non continuerei neanche il mio percorso musicale. Per fortuna stare all’estero mi dà credibilità e motivazione. Qua riesco comunque a scrivere, trovo la concentrazione al pianoforte e rielaboro le esperienze avute in giro. Per esempio quando sono entrata in contatto con Kakande mi si è aperto un mondo, una nuova strada. Il modo diverso di approcciarsi alla musica dei neri, degli afroamericani… da lì ho cominciato a far musica in modo più spontaneo. Riesco a “rubare” tanto dalle persone che incontro. In Italia si parla molto di musica ma se ne fa poca. All’estero se ne parla meno e magari all’interno di una cena, ci si mette al pianoforte e si crea, in modo molto più naturale e più vero, più umile. L’umiltà manca qui in Italia, anche a livello umano».

Elisa Russo, Il Piccolo 17 Novembre 2007

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