Venerdì alle 22 Miela Music Live e l’associazione Alpe Adria Cinema, per l’opening del ventinovesimo Trieste Film Festival, presentano la dj session “30 years of Club Guerilla” di Shantel; il produttore, musicista, cantante e dj tedesco, re del mix tra musica balcanica e elettronica, sarà preceduto dalle selezioni del triestino dj Stoner The Balkanist.
Al Miela Shantel (nome d’arte di Stefan Hantel) si esibì con la sua Bucovina Club Orkestar nel 2007, nel 2008 all’Ausonia e nel 2014 al Festival Guča sul Carso: «Trieste mi affascina perché è un posto contaminato da tante culture differenti – dice – mi dà l’idea di essere un crocevia, un melting pot, un miscuglio di elementi mediterranei, delle Alpi, dell’Europa dell’Est, delle minoranze dell’ex Jugoslavia, dell’Austria…».
In passato ha portato i suoi concerti, questa volta propone un dj set.
«Sono principalmente un musicista, un live performer e la cosa che più amo è suonare con la mia band, ho quell’impianto mentale. Però ho iniziato la mia carriera come dj, che ho sempre concepito come un narratore di storie. Sono un conoscitore e un amante della musica, non m’importa quale sia l’origine geografica o la nazionalità, non mi fossilizzo nemmeno su un genere. Shantel non è uno stereotipo del dj balkan o del dj electro-swing: io non sono così. Ho un’enorme collezione di canzoni stupende, emozionanti e ballabili e un sacco di mix che ho realizzato io stesso. Prendo il dj set come un’opportunità per mostrare quanto sia di mente aperta, mescolo tanti stili diversi e mi piace definirmi un “free-styler”, cerco di superare qualsiasi barriera. Per me è essenziale che il pubblico prenda parte attiva allo spettacolo, non credo a quella frase “God is a dj”, Dio è un dj, che cazzata! Il dj è uno strumento che apre un canale emotivo con la gente».
Torna al Miela ospite del Film Festival, come già nel 2007. Il suo legame con il cinema?
«Le mie canzoni sono finite nelle colonne sonore di diversi film in tutto il mondo. Tengo particolarmente alla collaborazione con il regista Fatih Akin, vincitore di un Golden Globe ad Hollywood, con lui sono sempre in contatto e ci scambiamo tante idee. È sempre stimolante cimentarmi in campi artistici differenti, infatti ho collaborato anche con una compagnia di danza e teatro».
Come si è appassionato al balkan e all’elettronica?
«Sono sempre stato interessato alla musica di tutto il mondo, quando ero adolescente l’elettronica mi attraeva perché era una cosa nuova, fresca, una grande avventura e anche democratica perché puoi fare qualcosa di bello anche senza studio, etichetta, soldi. Sono cresciuto con la club culture, le grandi feste a Tel Aviv, Francoforte, Parigi. Con la caduta del muro di Berlino nel 1989 ho colto l’occasione per saperne di più sulle origini (rumene-ebree) della mia famiglia, da lì un viaggio nella regione tra Romania e Ucraina, la Bucovina… non ero interessato solo alla musica balcanica, ma alla storia di diversità culturale, all’imbastardimento dei suoni che vanno dall’impero ottomano a quello greco o bizantino, persiano, con influenze tedesche, austriache italiane… Non sono un etnologo, sono un artista pop e così ho creato il mio genere personale “Disko Partizani”, “Bucovina Club”, sono concetti pop che portano le diversità culturali nella musica… puoi chiamarla balkan, electro, sono etichette e a me non interessano. In musica sono un migrante, un prodotto della diaspora».
Dunque è stato influenzato anche dalla musica italiana?
«Nelle scuole di Smirne o Istanbul si studiano antiche tecniche di composizione e armonia che hanno origine in Italia. Poi i cantautori genovesi degli anni ‘60 come De André hanno influenzato tutta la musica europea. Quando stavo realizzando il primo album con la Bucovina, nel 2002, ero in Sicilia e ho conosciuto la Banda Ionica di Roy Paci e li ho inseriti nel disco. Fuori dai vostri confini purtroppo si conoscono solo gli stereotipi, Sanremo, il pop di Eros Ramazzotti ma credo abbiate un’anima più profonda seppur meno popolare. Vinicio Capossela per me è uno degli artisti italiani più interessanti, pur nella sua stranezza. E mi affascina Casadei, quel mix nostalgico, quasi kitsch, grottesco ma mi ricorda le colonne sonore di Nino Rota, i film di Fellini».
Elisa Russo, Il Piccolo 18 Gennaio 2018