Nato a Taranto nel 1970 e, dopo la maturità, trasferito a Milano per studiare Illustrazione all’Istituto Europeo di Design, Pasquale “Squaz” Todisco è oggi uno dei nomi più quotati del fumetto italiano. Ha pubblicato su riviste come Rolling Stone, XL di Repubblica, Linus, Internazionale e ha realizzato diversi graphic novel, a partire dal 2007 con “Pandemonio”, poi “Minus Habens”, “L’Eredità”, “Tutte le ossessioni di Victor”, “Sarò Breve”… L’anno scorso ha pubblicato “Mingus” con i testi di Flavio Massarutto (Coconino Press, in collaborazione con Circolo Culturale Controtempo e Paff! di Pordenone): «Circa un anno fa, a settembre, – ricorda Squaz – ero al Paff! con la mostra su Mingus».

Com’era nata la collaborazione con il pordenonese Massarutto?

«Mi aveva coinvolto tempo fa come illustratore in un altro progetto legato al Circolo Controtempo di Pordenone, per un volumetto che raccoglieva dei racconti brevi di Vitaliano Trevisan. Due anni fa si è rifatto sentire per propormi il progetto su Mingus di cui lui aveva già scritto completamente la sceneggiatura, me la sono letta, mi piaceva molto e quindi ho accettato subito». 

Da allora non avete smesso di presentarlo in giro?

«A novembre e dicembre abbiamo ancora qualche presentazione, di solito i libri hanno vita più breve ma è merito di Flavio che è un mastino. Le presentazioni al Paff sono state spesso seguite dalle esibizioni di jazzisti della zona. A Bologna c’era il contrabbassista Lullo Mosso che ci ha fatto da moderatore, io e Flavio siamo finiti a cantare, è diventata proprio una festa. Anche alla Fiera del Libro di Torino sul palco, oltre a Giulio De Vita del Paff, c’era un contrabbassista». 

Nella sua carriera il fumetto è sempre andato a braccetto con la musica?

«Ho fatto il fumettista perché non sapevo suonare! Ho sublimato col fumetto». 

“Il” o “la” graphic novel?  

«Io dico fumetto. La definizione fu coniata da Will Eisner, in inglese l’articolo “the” è neutro. Novel andrebbe tradotto con romanzo che è maschile, da qui dovrebbe essere il graphic novel. L’etichetta Eisner la diede per poterli vendere, quei libri, perché erano fuori dal comune rispetto alle proposte artistiche dell’epoca, lui aveva bisogno di un’etichetta per poter vendere il suo prodotto, era molto scaltro». 

Eisner ha saputo elevare il fumetto a linguaggio d’autore. Per lei è stato un riferimento?

«Non in modo diretto, non mi sono ispirato a lui, l’ho scoperto più avanti nel mio percorso. Però sicuramente certe sue invenzioni grafiche sono diventate patrimonio comune. Per esempio, il fatto di usare il lettering come parte dell’illustrazione, magari nel frontespizio, come fa specialmente in “The Spirit”, ha fatto scuola. Anche il fumetto underground ha utilizzato quelle trovate per cui mi sono arrivate, ma non studiando direttamente il suo lavoro». 

Da piccolo ha cominciato leggendo i supereroi?

«Classica grande lettura della infanzia e della prima adolescenza ma non saprei dire fino a che punto mi hanno formato come immaginario, mi sono reinventato, ho scoperto altre cose e pensato che il fumetto potesse fare molto di più».

Crescendo ci si imbatteva in Andrea Pazienza e cambiava tutto?

«Come molti condivido questo spartiacque. Lo stesso Gipi credo l’abbia detto, che Pazienza gli aveva fatto capire che poteva farne un mestiere». 

E com’è farne un mestiere, oggi in Italia?

«Da una parte è più semplice perché ci sono più case editrici, più proposte e titoli in circolazione, ma a volte mi sembra che questa grande quantità non faccia bene al fumetto perché un autore deve essere proprio convinto di un progetto, e realizzarlo solo quando merita veramente com’è capitato a me con Mingus. Bisognerebbe produrre meno e meglio».

Elisa Russo, Il Piccolo 22 Ottobre 2022   

Articoli consigliati