“Jack Calcagno, New York chiama Trieste”: questo il titolo dello spettacolo che Leonardo Zannier porta giovedì, con grande orgoglio, al Carmine Street Theater di New York.
Il poliedrico cantante e attore triestino proporrà al pubblico della Grande Mela lo show da lui scritto, diretto ed interpretato. Spensierato, musicale, comico e struggente, Zannier si cala nei panni di Jack Calcagno, giovane americano nato a Reno, Nevada, terra di gangster e gioco d’azzardo, che se ne va in Italia per ritrovare la sue radici e raccontare il viaggio della sua famiglia, emigrata in America nei primi anni del Novecento. In un monologo molto toccante il bisnonno del protagonista passa i controlli ad Ellis Island, fino al 1954 la porta d’ingresso in America a New York. Al suo arrivo a Trieste Jack, con il suo italiano americano, si scontra con modi di dire, usanze, dialetti, e l’ironia del racconto e delle gag si trasforma in musica. Stretto fra l’America e l’Italia, tra lo swing, Gershwin e Frank Sinatra fino alle melodie italiane (e triestine) più note passando per Broadway e il teatro comico americano, Jack conduce lo spettatore in un’incursione nostalgica e spensierata. La serata newyorkese è organizzata dall’Eraple (Ente Regionale ACLI per i Problemi dei Lavoratori Emigrati) del Friuli Venezia Giulia insieme all’Associazione Giuliani nel Mondo di Trieste, con il contributo della Regione.
«Lo spettacolo ha debuttato a marzo 2014 ed era nato per essere messo in scena in città, con molti riferimenti che venivano capiti solo qui», spiega Zannier. «Nel tempo, visto che è andata bene e hanno cominciato a richiedermelo in tutta la provincia e poi nel Triveneto, ho dovuto smussare alcuni angoli. Ho fatto una cinquantina di repliche. Nel 2014 sono stato premiato a Gradisca come miglior attore e come miglior spettacolo». Della versione che proporrà giovedì dice: «Per portarlo a New York ho mantenuto nel testo i riferimenti a Trieste ma alcune parti legate all’umorismo locale le ho cambiate in modo che siano fruibili per tutta la comunità italiana e non solo quella giuliana. Per esempio ho preso luoghi comuni che riguardano la Sicilia, Roma, Napoli, Firenze… Ho lasciato quasi tutte le canzoni, ho solo tolto qualche brano swing americano per aggiungere qualcosa di popolare italiano. Ho inserito parole che usano gli italiani che vivono tanti anni negli Usa e poi tornano qua, tipo “parkare” per parcheggiare. In chiusura manterrò la poesia di Saba, sono affezionato a quel finale». Dal palco del Miela a New York, infatti: «Seguivo il Pupkin Kabarett, una sera ero andato a vederli e Alessandro Mizzi mi propose di fare qualcosa assieme. In una chiacchierata con lui e Dongetti abbiamo buttato giù una prima idea. È nato così Jack Calcagno, un simpatico crooner che nel 2009-2010 portavo al Miela per dieci minuti di chiacchiere e una canzone». Da lì, il personaggio prende vita propria: «Poi ho raccolto questo materiale, aggiunto canzoni ed è nato il fulcro dello spettacolo». Il miscuglio di generi rende la proposta avvincente e originale: «Cabaret, parti più riflessive, musica e teatro più tradizionale si mescolano, non mi sento un precursore. Anche se, cercando dei riferimenti a cui ispirarmi, non sono riuscito a trovare molto in giro. Un esempio raro potrebbe essere Massimo Lopez che è formidabile, canta, fa cabaret e ogni tanto mette qualche
pillola di saggezza e serietà». Jack Calcagno arriva a tutti anche perché: «Il tema centrale è cercare il proprio posto nel mondo ed è una cosa che tocca chiunque, anche chi sta bene sente questa spinta». Zannier si aspettava di arrivare un giorno a portare il suo Jack Calcagno negli USA? Sicuramente lo sognava: «Gli artisti sono tali anche perché vivono perennemente proiettati nella dimensione del sogno e quindi speri sempre che succeda qualcosa a livello umano, artistico e professionale». Dell’America dice: «A volte invidio il patriottismo americano, anche se a volte lo fanno in maniera cieca, è bello il senso di identità che hanno. Sentire di far parte di un contesto ed esserne fiero è importante». Ad accompagnare Zannier, un altro triestino: «Antonio Kozina uno dei violinisti più apprezzati in città che ha portato il nome di Trieste in tutta Europa, anche ottimo pianista con cui collaboro da molti anni. Valente musicista e ottima spalla da palcoscenico. Ha grande energia, gioca con me».
Della sua formazione così varia, Leo racconta: «Sono un ex bambino iper attivo, con la testa sempre pronta a trovare nuove idee, ho cominciato a suonare la batteria da ragazzino, a cantare, a fare teatro nella compagnia di famiglia. Poi ho cercato di unire tutte le mie competenze. In casa sbirciavo i copioni che mio papà scriveva, osservavo il lavoro di mia mamma che è ottima attrice e scenografa da paura, ho acquisito alcune delle loro capacità, vedevo i costumi della compagnia di famiglia, ho acquisito professionalità a tutto tondo. Riesco a portare sul palco lo spettacolo anche in una situazione avversa. Di recente ho fatto uno spettacolo alla Contrada “Pronto mama?” con Ariella Reggio e per me era stranissimo finire lo spettacolo e lasciare i vestiti sulla sedia e gli oggetti di scena sparsi ovunque, arrivare il giorno dopo e trovare gli oggetti dove dovevano essere e i miei quattro vestiti lavati e stirati: per qualcuno è scontato ma per me no e quindi mi viene da ringraziare cento volte la costumista e il tecnico e loro ne erano stupiti. Spero di non perdere mai questo spirito. Mi piace pensare che anche nelle star di Hollywood rimanga questo spirito». Zannier non ha mai pensato di emigrare? «Sono molto legato alla mia famiglia e non ho mai voluto andar via. I Bandomat hanno avuto un successo invidiabile, dal 98 al 2012 abbiamo suonato ovunque, moltissimo in città. La gente riempiva i locali in un momento in cui non c’era la spinta della rete. Nella scomodità cerchi l’evoluzione. Io stavo bene e forse serve un po’ di blues, un po’ di sofferenza per andarsene».
Elisa Russo, in parte su Il Piccolo 23 Maggio 2017