Un rocker genuino e spontaneo, di buon cuore. Uno che ci crede sempre, anche quando tutto rema contro. Scherzando, forse neanche tanto, dice di essere nato per diventare una rockstar. Si fa chiamare John Prasec, un nome goliardico visto che in sloveno il “prasec” non è altri che il maiale. Ma le cose si sono spinte così in là che oggi gli inglesi pronunciano quel “Mr. Prasec” come fosse il nome più elegante del mondo. John, infatti, vive a Londra dal 2012. I suoi primi passi nella musica li muove a Trieste, al fianco di professionisti come Daniele Dibiaggio (Al Castellana/ Lademoto), Alberto Bravin (Pfm), Roberto De Micheli e Alessandro Sala (Rhapsody of Fire), Saverio Gaglianese, Luca Lunardis, Jimmy Bolco. Oggi ha una band londinese, i Voltstorm, da marzo in tour.

John, ci può svelare il suo nome di battesimo?   

Luca Clarich, ma ormai in pochi lo sanno. Mi sento come Ronnie James Dio! Gli amici avevano cominciato a chiamarmi così per scherzo, poi le cose sono andate troppo veloci, e il nome mi è rimasto. Qui a Londra mi chiamano “Prasek”, è caratteristico, pronunciabile anche dagli anglofoni e vedo che gli resta in testa. Funziona.

Cosa la spinse a trasferirsi a Londra dieci anni fa?

Sono partito da Trieste con la sensazione di essere arrivato a fondo corsa dal punto di vista musicale, avevamo fatto tutto quello che si poteva, nei limiti della città, sentivo fosse arrivato il momento di andare nella tana del lupo, a giocarsela con i grandi.

Però in Italia aveva inciso un singolo, “God Save Rock and Roll” con la John Prasec Band, che si era piazzato bene nelle classifiche.

Avevamo trovato un’etichetta a Milano interessata al progetto, purtroppo dopo il primo singolo hanno cambiato rotta e non hanno più voluto proseguire, nonostante avessimo già firmato un contratto vincolante per cinque anni. Quindi i brani sono rimasti bloccati. Alla fine ho imparato anche da quell’esperienza, ho capito che il music business è una vasca di pescecani e ho preso le misure.

A Londra poi ha inciso quel materiale rimasto in sospeso?

Sì. Ho avuto la fortuna di collaborare con lo studio di Ed Randall e Alessio Garavello, dove i Muse avevano registrato il primo demo e Ian Gillan dei Deep Purple i suoi dischi solisti negli anni ’90. Lì ho incontrato un altro Deep Purple, il mio mito Ritchie Blackmore, che faceva le prove con i suoi Rainbow. Personaggio eccentrico, con i vestiti in stile medievale ma molto alla mano. Sulle partiture c’era una nota sbagliata, ha voluto un bianchetto: ho praticamente girato tutta Londra per trovarlo. Gliel’ho portato e solo a quel punto le prove sono potute ricominciare. E poi la notte di festa passata con Joe Elliott dei Def Leppard, simpaticissimo…

Ha incontrato qualche star che non apprezza?

Mi sono fatto una figuraccia con Ed Sheeran, stavamo consegnando delle attrezzature in uno studio e il ragazzo che era con me mi ha chiesto cosa ne penso, le mie parole sono state tutt’altro che lusinghiere, salvo rendermi conto, dopo che le avevo pronunciate, di avere Sheeran dietro di me, che aveva sentito tutto. Mi ha lanciato un’occhiata e non mi ha detto nulla, mentre il ragazzo che era con me si sganasciava dalle risate.

Un tour che le è rimasto nel cuore?

Sono andato due volte da solo in Argentina, appoggiandomi a musicisti del posto (dopo che avevamo fatto un po’ di prove in remoto), è stata un’esperienza sorprendente. Abbiamo anche registrato un live album che ho appena finito di produrre col Garavello Rock Studio. Si chiamerà “John Prasec en vivo – live in Argentina”, potrebbe uscire prima di Natale e segnerà un po’ la chiusura della mia carriera solista. Lì mi sono reso conto quanto puoi toccare la gente con la musica, e quanto ti considerano una fonte d’ispirazione, anche se sei un signor nessuno, ti guardano come se gli stessi cambiando la vita e dando una motivazione per non mollare, gli si accende una luce negli occhi. Mi è scattato qualcosa dentro, ho capito che volevo scrivere dei testi più impegnati, essere portatore di un messaggio, poter offrire alla gente un motivo per alzare la testa.    

Per questo nasce la sua nuova band, i Voltstorm?

Lo stile dei miei album solisti è molto sleeze/ party rock, cioè un rock stradaiolo e da festa ed è andato un po’ a esaurirsi, insomma sono maturato ed è passata la spinta a scrivere certe cose più leggere per cercare di fare qualcosa di più serio e impegnato. Quindi nel 2019 ho cominciato a lavorare sul repertorio dei Voltstorm. A Londra mi sono sentito un cittadino di serie b, ti vedono diverso e ti trattano di conseguenza, fa male, a volte è stata dura. Il brano “C.O.D.” parla di questo, degli invisibili. Brexit+covid: un binomio che ha creato grande incertezza anche per chi, come me, ha ottenuto la cittadinanza da qualche anno; è davvero difficile prevedere cosa succederà a livello economico e sociale. Un’Apocalisse, dico io.

Un consiglio ai giovani musicisti triestini?

Togliersi questa caratteristica tipicamente triestina che anche io avevo, finché non ci ho sbattuto il muso: pensi di sapere già tutto, di poter fare da solo, e invece ho capito che non si finisce mai di imparare e che c’è sempre qualcuno più forte di te. Studiare, fare prove, essere umili. Ci vuole autocritica, altrimenti non esci da Trieste. “Sex, drugs and rock’n’roll” è un falso mito.

BIOGRAFIA

John Prasec nasce Luca Clarich il 2 marzo 1983, a 15 anni mette su un gruppo punk rock e comincia a comporre. Pensa subito in grande: il suo primo demo lo consegna personalmente alla Sun Records, Universal Music, Polydor, Abbey Road Studios, Hard Rock Cafe e al suo idolo David Coverdale. A 18 anni scrive quella che diventerà la sua hit “God Save Rock and Roll”. Fonda la John Prasec Band, incide gli album “John Prasec” nel 2014 e “Unchained” nel 2017, canta anche con gli sloveni Wicked e sale sul palco con Kee Marcello degli Europe. Nel 2019 fonda i Voltstorm. Vive a Londra, con Trieste nel cuore: «Qualche volta mi manca Trieste, sono un romantico, mi mancano le serate con Dibia, Saverio, Bravin, mi piacerebbe tanto fare una reunion, ci siamo divertiti come matti. C’era grande alchimia tra noi, tutto funzionava in maniera organica, eravamo giovani con mille idee, rimangono i miei più bei ricordi. Non suono a Trieste dal 2010, tenere un concerto in città è ora il mio sogno».

VOLTSTORM mini album omonimo

Un mini album omonimo è il debutto discografico dei Voltstorm, nuova band londinese di John Prasec, in cui lo affiancano il chitarrista Fred Stigliano e il batterista Ivo Yordanov, in uscita il 25 marzo anticipato dal singolo e videoclip “One Life”. Registrato al Rogue Studios di Wembley con il produttore Alessio Garavello, il genere è un rock potente con influenze classic metal, sulla scia di Helloween, Iron Maiden, Metallica e Judas Priest. «Volevo fare le cose seriamente, con grande devozione alla musica. Mi sono fatto in quattro in studio, curando nota per nota, ma alla fine il risultato si sente. Il successo dei Maneskin insegna che forse un mercato c’è. Noi stessi non siamo dei metallari duri, stiamo cercando di fare qualcosa che incapsuli l’energia che è necessaria per cambiare le cose, con un suono heavy calibrato dalla melodia. L’aggressione sonora non è nelle nostre corde, già viviamo in un mondo duro, in musica ci serve speranza, vedere la luce in fondo al tunnel, ci serve qualcuno che ci prenda per mano e ci incoraggi».

Elisa Russo, Il Piccolo 12 Marzo 2022

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