Mercoledì alle 22 Jonathan Richman suona all’Etnoblog. Il cantante e musicista statunitense che nel 1970 aveva fondato il gruppo The Modern Lovers, è accompagnato anche in questo tour dal percussionista Tommy Larkins.
«Chi va a vedere Jonathan Richman di solito all’inizio resta scioccato. Non capisce. Poi si mette a ridere. Poi però può anche accadere che si commuova. Sicuramente ne resta conquistato, e vuole rivederlo. Bisogna esserci di persona per capire il personaggio, veramente senza precedenti nella storia della musica», assicurano gli organizzatori della data triestina (Etnoblog in collaborazione con Hybrida); «forse lo conoscete perchè avete sentito “Roadrunner”, la hit che la sua band Modern Lovers ebbe nel 1977 (prodotti da John Cale dei Velvet Underground), oppure avete sentito le cover che David Bowie o Iggy Pop hanno fatto dei suoi pezzi, o ancora avete visto “Tutti Pazzi Per Mary” e vi siete chiesti chi era quel tipo che ogni tanto compare nel film cantando delle canzoni nei posti più impensabili».
Il critico musicale Piero Scaruffi nella sua “Storia della musica rock” l’ha definito «l’erede più diretto della “cronaca” di costume inaugurata da Chuck Berry, in cui il cantante rock prende lo spunto da un fatto più o meno banale, lo trasforma in una parabola che vale per la sua intera generazione e lascia che sia questo valore metaforico ad intrattenere il pubblico».
Richman canta in inglese, spagnolo, francese e ormai anche in italiano più di un pezzo, cambia scaletta sul momento, in bilico tra l’improvvisazione e l’action painting sonoro. Ogni suo spettacolo è molto dinamico, lui ama ballare, si lancia in danze sciamaniche ed esorta il pubblico a seguirlo (“o perlomeno, tenete il tempo”, dice ai presenti). Dopo 35 anni di carriera è ormai un fuoriclasse del palco. Gran parte della sua carriera, l’ha trascorsa in tour: «Viaggiare ed esibirmi davanti a persone diverse, in posti nuovi è una delle cose che più mi piace fare. Mi piace soprattutto suonare in posti sperduti. Impari tantissimo quando ti ritrovi in una piccola città dell’Olanda o dell’Australia, sono lezioni diverse da quelle che ti danno le metropoli. Io e Tommy non smettiamo mai di imparare: oggi suoniamo in maniera completamente diversa da due anni fa. Io mi sento ancora come un esordiente e credo di imparare qualcosa di nuovo ad ogni concerto».
Se i testi delle sue canzoni sono molto comunicativi (pieni di umanità, ottimismo, introspezione ma anche un infinito senso dell’ironia) è nota, invece, l’avversione alle interviste: anzitutto pare che di solito chieda il numero del giornalista e si riservi di chiamarlo a suo piacere. Qualche intervistatore giura di avere ricevuto la telefonata dell’artista alle due di notte. Ci sono delle preclusioni anche sugli argomenti da trattare: Richman non vuole parlare né della sua musica né della sua vita privata. Si presta però a discussioni filosofiche, o su temi ambientali. Trova inutili le discussioni sulla musica: “la stampa non fa altro che complicare ciò che è semplice. Al pubblico, la musica deve soltanto piacere o non piacere”. Ci si deve accontentare quindi di ciò che emerge dalle sue canzoni e dalle sue performance, senza spiegazioni aggiuntive. “Il vino è fatto per essere assaporato, non per essere discusso” dice Richman in “He Gave Us the Wine to Taste It”. Questo tipo di atteggiamento è condiviso da altri artisti, per esempio Joan Jett dichiarò: “se non siete riusciti a capire chi sono attraverso le mie canzoni, non ci riuscirete nemmeno parlando con me”.
Elisa Russo, Il Piccolo 12 Marzo 2012