«Sono sempre fiduciosa ed entusiasta su quel che verrà, sono un’ottimista di natura e il mio compito è restare focalizzata sulla mia creatività; certo ho scritto tanti libri sulla mia vita, anche in forma di memoir, ma non sono una nostalgica, sono proiettata nel futuro»: è contagiosa l’energia di Judy Collins, raggiunta telefonicamente a Bristol prima di uno show. Vera e propria icona della musica folk, vincitrice di Grammy, più di 50 i dischi pubblicati, una vita intensa e avventurosa, a maggio ha compiuto 83 anni: più che meritato il premio alla carriera che Folkest le consegnerà sabato. «Per chi volesse un incontro più ravvicinato e desidera fare qualche domanda – fanno sapere gli organizzatori – Judy Collins sarà disponibile durante la mattinata di sabato al Teatro Miotto di Spilimbergo, alle 12, per un incontro aperto al pubblico». Alle 21.15, sempre a Spilimbergo ma in Piazza Duomo, la cantante nata a Seattle e residente a New York, riceverà il premio, rappresentato da un gioiello creato da Leo Orafo, che dal 1996 Folkest ha assegnato ad artisti come Ian Anderson dei Jethro Tull, Joan Baez, Noa, Branduardi, Alice, The Chieftains, Valter Sivilotti, Steve Winwood, Luigi Lai, Riccardo Tesi, Enzo Avitabile.
«È meraviglioso – commenta l’artista – le cose non si fermano mai, mi sento davvero fortunata e sono felice di venire in Italia. In passato sono stata a Roma, varie volte a Firenze ma non ho mai visitato Venezia, e questa volta finalmente riuscirò a farlo, essendo il Friuli abbastanza vicino, ho deciso di fermarmi qualche giorno in più, sono una fan dei romanzi di Donna Lion che vanno forte in America e sono ambientati a Venezia». Al Folkest Judy presenterà poi “Spellbound”, il suo album uscito a febbraio, dove per la prima volta è autrice di tutti i pezzi: «Leonard Cohen, da quando lo conobbi nel ’66, mi ripeteva: “non capisco perché non scrivi canzoni tue”, e da allora ne ho sempre inserite un paio nei miei dischi. Quindi ho continuato a comporre e registrare anche brani miei, ne avrò una sessantina che non è poco. Solo che finora non avevo mai realizzato un album intero di originali. Ora finalmente c’è, spero che il mondo capisca che tra le tante cose sono una songwriter a tutti gli effetti». La cantautrice racconta di essere stata scherzosamente definita “la nonna del folk”, ma in realtà si è sempre cimentata con tanti generi: «Non ho mai capito che ruolo rivesto nel mondo del folk. Ho fatto anche dischi country-bluegrass schizzati in testa alle classifiche di quel genere, o il lavoro su Broadway e Sondheim quindi posso definirmi “crossover”. Di una cosa sono certa: ho passato un quarto o forse anche metà della mia vita in tour e ne sono contenta». Nel suo storico lavoro del 1967 “Wildflowers” aveva incluso pezzi di nomi non ancora noti al pubblico dell’epoca come Joni Mitchell e Leonard Cohen, oltre a una coraggiosa selezione di canzoni di Jacques Brel e Francesco Landini. La sua ricca tavolozza sonora e il dono della scrittura le hanno consentito di evolvere e diventare una cantautrice poetica e votata alla narrazione. Oggi, nel suo sesto decennio come cantante e compositrice, Judy sta sperimentando una rinnovata creatività.
Elisa Russo, Il Messaggero Veneto 1 Luglio 2022
