Il disco “Salvatore” di Paky, del quale ha prodotto più della metà dei brani, è stato certificato oro a sole due settimane dall’uscita, poco dopo è arrivata la certificazione dell’album di Fabri Fibra “Caos” in cui ha scritto la musica di “Intro (Cielo)” che campiona, niente meno, “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli. Letteralmente un momento d’oro per Kermit, al secolo Francesco Siliotto, classe ’79, producer, musicista, beatmaker nato e cresciuto a Udine. A quattordici anni scopre che la sua vera passione è verso il mondo delle apparecchiature elettroniche: tastiere midi, campionatori, synth. Il genere che lo folgora e non abbandona più, è il rap. Nella città natale comincia a lasciare il segno lavorando con rapper locali come i Carnicats e Giuann Shadai, ma la svolta arriva quando si trasferisce a Milano.

Kermit, il richiamo dell’hip hop arriva subito? 

«Da ragazzino ho ascoltato anche il rock ma abbastanza presto, negli anni ’90, perdo la testa per i dischi rap che arrivavano (a fatica) dall’America, Public Enemy e simili. E in Italia c’erano Articolo 31, Frankie hi-nrg mc, Sangue Misto, Dj Gruff, Assalti Frontali, le jam con le posse ma erano dei circuiti molto di nicchia».

Chi l’avrebbe detto, allora, che il rap in Italia avrebbe fatto i numeri attuali…

«È diventato il nuovo pop, per anni le classifiche erano dominate da Ramazzotti e Pausini, poi il rap è esploso a livello di moda, quando è stato sdoganato nei club e discoteche, è stata una bella spinta».

Ma lei come ha iniziato?

«Figura cardine è stato Stefano Amerio: ho mosso i primi passi come fonico nel suo studio friulano dove ho cominciato a cimentarmi con la registrazione, i mixaggi e parallelamente ho sempre composto. Presto ho voluto il mio piccolo studio dove facevo venire gli amici a registrare e anch’io rappavo».

Quindi diventa una professione già a Udine?

«In parte sì. Quando poi mi trasferisco a Milano, però, si apre un mondo. Comincio in uno spazio condiviso con altri artisti, come Two Fingerz e Mastermind (che già lavorava con Fibra, Marracash, Gué…) dove ho modo di farmi conoscere, a quel punto ho lavorato con Dargen D’Amico, Ensi, Piotta e tutti quelli che passavano di lì».

E con Fabri Fibra com’è andata?

«Ho iniziato a scambiarmi le produzioni con i 2nd Roof che nel nuovo album “Caos” erano i direttori artistici. Nel cassetto tenevo una base strumentale che avevo costruito su un campionamento di Gino Paoli, ma non pensavo che un mostro sacro come lui potesse dare l’autorizzazione all’utilizzo…».

Invece?

«Fibra se ne è innamorato ed è diventato un pezzo di punta del disco. Si è incontrato con Gino Paoli, si sono conosciuti, anche a lui è piaciuto e gli ha dato il permesso».

Quest’estate è in tournée con Paky?

«Un artista su cui ho fatto bene a scommettere. Siamo partiti con il singolo “Rozzi” che è esploso e l’ha consolidato a livello mediatico, all’album abbiamo lavorato per due anni e ora sta andando alla grande, siamo in tour e abbiamo un sacco di date in giro».

Elisa Russo, Il Messaggero Veneto 23 Maggio 2022

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