«Qualsiasi cosa mi sia successa, l’ho sempre superata. Ho deciso che doveva significare qualcosa, che forse, tutto sommato, dovevo vivere. Forse sono qui per una ragione. E forse la ragione è condividere la mia storia con voi». La regina del rock Tina Turner di vite sembra averne vissute più di una e decide di raccontarle nella sua autobiografia «My Love Story» (HarperCollins, 288 pagg, 22 euro) scritta insieme a Deborah Davis e Dominik Wichmann. Nata Anne Mae Bullock, la cantante e attrice americana debutta al fianco del primo marito Ike Turner: gli anni ’60 e ’70 sono costellati dalle prime hit di successo planetario, ma sono anche segnati dalla violenza di Ike. Nel ’78 il divorzio, ma ancora oggi quelle ferite sanguinano quando le rivive con la memoria. Sarà più fortunata con il secondo marito, Erwin Bach, con cui vive a Zurigo (ha anche preso la cittadinanza svizzera). Più giovane di lei, le è stato vicino, letteralmente, in salute e in malattia tanto da donarle un rene: la Turner ha dovuto affrontare un ictus, un tumore e un’insufficienza renale. E altre difficili prove, come la perdita del primogenito suicidatosi a luglio. Alla soglia degli ottant’anni, ritiratasi dalle scene, con «My Love Story» ripercorre vicende private, parallelamente a una vita professionale da record, con duecento milioni di dischi venduti, dodici Grammy e le collaborazioni con Mick Jagger, Keith Richards, David Bowie fino al duetto con Beyoncé. E poi le passioni, da quelle nascoste come un’ossessione per l’arredamento a quelle ostentate, a partire dalle sue parrucche (le indossa sin dagli esordi: «Se fossi entrata in scena con i miei capelli naturali il pubblico non mi avrebbe riconosciuta»), le minigonne, gli abiti dei grandi stilisti (Armani su tutti), le scarpe Loubotin e Manolo Blahnik dai tacchi vertiginosi su cui solo lei riesce a ballare («Avevo un metodo preciso. Bisogna spostare un po’ il peso in avanti, sulle dita, e cercare di non appoggiarsi troppo sui talloni»). Ne esce un ritratto a tutto tondo di una delle ultime dive del rock: «La mia voce è sempre stata carica di sentimento, perché era legata alla vita che vivevo. Quando sul palco versavo lacrime, non era Hollywood, era la realtà».
Elisa Russo, Il Piccolo 17 Dicembre 2018