LE LUCI DELLA CENTRALE ELETTRICA – VASCO BRONDI IN CONCERTO A TOLMEZZO 10.01.19

Vasco Brondi ha deciso di spegnere Le Luci della Centrale Elettrica: «Sento di poter chiudere un progetto nato all’improvviso e con stupore dieci anni fa – racconta il cantautore – e che si è evoluto tantissimo nel tempo, cambiando insieme a me, regalandomi anche un “futuro inverosimile”». La fine di un ciclo e l’abbandono di un nome d’arte sono celebrati con un doppio album «2008-2018: Tra la Via Emilia e la Via Lattea» uscito a ottobre e un tour nei teatri che fa tappa giovedì alle 20.30 al Teatro Candoni di Tolmezzo per MusiCarnia di Euritmica. Sul palco con Brondi, la band formata da Rodrigo D’Erasmo (violino), Andrea Faccioli (chitarre), Daniel Plentz e Anselmo Luisi (percussioni), Daniela Savoldi (violoncello), Gabriele Lazzarotti (basso) e Angelo Trabace (pianoforte).

«Mi sta arrivando molto affetto e credo sia il tour più bello che abbia mai fatto. È indispensabile per me rendere sempre vivo questo lavoro, vitale, che faccia le scintille, che sia entusiasmante e difficile e piacevole. Lasciare che si evolva con te e che ti faccia evolvere. È da una parte il concerto più grande che abbia mai fatto come band, come produzione, come arrangiamenti e dall’altra il più piccolo perché c’è una parte di concerto in cui sono da solo sul palco come dieci anni fa e racconto avventure di quel periodo o leggo cose che mi va di leggere. È un concerto che tende al silenzio per poi arrivare al fragore. Ci sono dentro tutti i concerti che ho fatto in questi dieci anni, tutte le atmosfere che ho attraversato».

Che legame ha con questa zona?

«Ho un legame forte anche perché ultimamente ci vengo anche più spesso perché sto collaborando assiduamente con Paolo Baldini, un grande fonico con cui registro le voci e che mixa i miei dischi e il suo studio è a San Foca in provincia di Pordenone. Soprattutto nel lavorare a “Terra”, il mio ultimo disco, ci ho passato un gelido e assolato gennaio».

Nelle note di presentazione dell’ultimo doppio album uscito a ottobre scrive che è stato “accerchiato, fotografato, insultato, idolatrato”. Come ha gestito le cose?

«Direi che le ho semplicemente vissute. Le espressioni artistiche che ho sentito più vicine e con cui sono cresciuto sono spesso diventate controverse. Autori capaci di lasciare un segno, anche piccolissimo, nel loro tempo e che per questo diventano un’ossessione per i propri contemporanei. Amati o disprezzati ma destinati a essere al centro dell’attenzione, è impossibile ignorarli. Sono contento quando sento che qualcosa del genere succede a me. Ogni tanto penso che ho scritto una trentina di canzoni, un paio d’ore di musica che nessuno trasmette, devi proprio andare a cercartele per sapere che esistono. Eppure anche chi non apprezza per niente quello che faccio ha sentito in qualche modo di doversene occupare. Alla fine mi hanno fatto crescere anche gli insulti. Poi mi torna sempre in mente un proverbio turco che dice ci sono cose che non meritano neanche di essere ignorate. Anche ignorarle è troppo, si rischia di dargli un’importanza sproporzionata».

Scrive anche “è arrivato il momento di fare spazio ad altro, per la bellezza e la follia di ricominciare”.
«Questo è un lavoro che fortunatamente ti obbliga ad evolverti per evolvere quello che fai. È importante che sia sempre un lavoro vivo e per me per ogni disco c’è sempre stato un piccolo salto evolutivo e credo continueranno a esserci».

Com’è stato lavorare con Tiziana Lo Porto, grande esperta di musica e letteratura, al suo ultimo libro?

«Tendo sempre a lavorare con miei amici, si dice non sia una cosa saggia ma per me non c’è alternativa, è l’unico modo che conosco. Con Tiziana è nato questo libro da nostre conversazioni qui a Ferrara anche se poi è un racconto in prima persona, non è un libro di interviste, è un mio monologo di avventure. È un incrocio tra una fanzine, un album artistico, un diario, un libro fotografico. È pieno di colore con locandine, disegni, immagini dalla strada, dall’albergo, dal palco, l’art director che ha fatto un lavoro meraviglioso è Rossella Merighi, ferrarese come me e anche lei è una mia amica e collaboratrice da una vita. Sono molto contento che dentro ci siano anche i racconti dei nostri incontri fatti direttamente dagli artisti che ho incontrato in questi anni e che poi sono diventati amici, c’è Manuel Agnelli, Jovanotti, Rachele Bastreghi, Daria Bignardi, Francesco De Gregori e tanti altri».

Zen Circus, Motta e Ghemon a Sanremo. È un’esperienza che ha preso in considerazione?

«Questo è comunque un lavoro molto solitario, ognuno fa la sua strada. Credo che ci sia modo di fare un percorso personale e profondo ed essere popolari allo stesso tempo. Non è un’esperienza a cui sto pensando e non l’ho mai guardato in vita mia ma se circolano canzoni migliori è meglio per tutti».

Elisa Russo, Il Piccolo 10 Gennaio 2019

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