LED ZEPPELIN LA STORIA ORALE (ARCANA) di Barney Hoskyns

TITOLO “Led Zeppelin la storia orale”

AUTORE Barney Hoskyns

EDITORE Arcana

Pag 479, 25 €

 

“Led Zeppelin la storia orale” (Arcana, pag 479, 25 €): sì, un altro libro sui Led Zeppelin, ma questa volta si tratta di un’opera veramente speciale. Come dice l’autore, Barney Hoskyns: «In ogni libro precedente sui Led Zeppelin ci sono delle cose buone, ma alla fine si riducono tutti a una sequenza riciclata di aneddoti sulle groupie e sui televisori lanciati dalle finestre degli alberghi. Questa roba, alla lunga, è noiosa. Io ho voluto demistificare la band ma, allo stesso tempo, ho scoperto delle cose ancora più sconvolgenti». Per questo libro, Hoskyns ha intervistato quasi duecento persone a partire, ovviamente, da Jimmy Page, Robert Plant e John Paul Jones. L’enorme quantità di contributi lo ha convinto a dare al tutto la forma della “storia orale”, in cui sono gli stessi attori a raccontare, confessare e ricordare, senza l’intervento esterno di un narratore. Ne risulta così un ritratto unico e inedito delle avventure, del mito e della realtà della leggendaria rock band, nonché delle singole personalità dei suoi membri («Tutti i componenti degli Zeppelin, presi a sé stanti, erano dei ragazzi adorabili. Se li mettevi insieme in una stanza diventavano assolutamente odiosi», secondo Sally Williams). Ce n’è bisogno anche perché, come afferma Brad Tolinski, gli Zeppelin sono ancora oggi incompresi: «Non credo che i critici li abbiano capiti allora, e credo che non li abbiano capiti nemmeno adesso. Ci sono persone talmente prese dal mito Zeppelin che non hanno avuto neppure il tempo di capire la loro musica». «Cos’hanno dimostrato i Led Zeppelin? Che una grande musica è sempre la migliore scusa per pessimi comportamenti…», afferma sarcasticamente Kim Fowley, perché la storia raccontata è quella di miti ma anche uomini con le loro manie e difetti, sebbene musicisti straordinari, come sottolinea Phil Carson: «Ahmet mi diceva sempre: “Metti sotto contratto una band solo se ne fa parte almeno un musicista straordinario. Non importa se è il batterista o il tastierista”. Nei Led Zeppelin ce n’erano quattro».

BP Fallon, spiega gli equilibri all’interno della band: «I Led Zeppelin erano una band, e ogni band ha un leader. Alcune ne hanno due. Per essere leader di successo non devi andare troppo a strombazzare in giro la tua leadership. E questo permette che ci sia una cooperazione, anche quando non sembrerebbe. Questo significa che stanno tutti su un piano di parità? No. Significa che ognuno è una star? Sì». Zeppelin era proprio un aeroplano: Plant stava davanti, Bonham dietro, e le ali erano Page e Jones.

John Paul Jones ha modo di togliersi qualche sassolino dalla scarpa, spiegando che: «Gli Zeppelin sono stati veramente l’espressione di una partnership tra quattro persone e quando si legge che le canzoni sono sempre attribuite a “Page-Plant” si ha l’impressione che sia una situazione tipo “Lennon-McCartney” in cui loro scrivevano tutto e io e John non facevamo altro che imparare le canzoni che Jimmy e Robert ci insegnavano. È talmente lontano dalla realtà che suona ridicolo». Page non nasconde il suo carattere dispotico: «Volevo il controllo artistico come garanzia, perché sapevo esattamente cosa volessi fare con quei compagni di band». Figura centrale del libro è il manager Peter Grant, di lui racconta Sam Aizer: «La cosa formidabile che ha fatto Peter è stata impedire per un certo periodo che parlassero con chiunque. Meno parli con quelli della stampa e più loro vorrebbero parlare con te. Adesso il mondo è cambiato, adesso la gente ti dice via Twitter: “Hey, ho appena mosso il piede sinistro, ho appena mosso il piede destro…” Gli Zeppelin seguivano la tattica opposta: non potevi parlare con loro. Ogni volta che facevano interviste, rimanevano sempre sul vago e per metà del tempo era impossibile incrociare il loro sguardo».

Non mancano i racconti che strappano un sorriso, come quello di Plant: «Il ragazzo di mia figlia, che suonava in un gruppo psychobilly, ha cominciato a dirmi che una parte di “Black Dog” era sbagliata perché c’è una battuta in 5/4 in mezzo alle altre di 4/4. Be’, questo mi ha fatto andare in bestia, quindi ho tirato fuori il disco, l’ho messo sul piatto e ho detto: “Ascolta, nanerottolo, questo non è un errore, questo ti dimostra cosa eravamo bravi a fare!».

E poi ci sono gli aspetti più cupi, come ricorda lo stesso Page: «Ho cominciato con l’eroina soltanto perché pensavo che potesse rendermi più creativo. Quello è stato un grosso sbaglio», Bebe Buell ricorda che «Anche nel pieno della sua dipendenza dalla droga, Jimmy aveva classe. Lasciava le questioni più scabrose e meno attraenti agli altri. Jimmy si è sempre tenuto lontano da un’enormità di cattivi comportamenti. Non so se è perché gli altri lo hanno protetto o se è stato lui ad avere il buon senso necessario – grazie alla sua educazione – per tirarsene fuori. Queste persone come Jimmy e Mick Jagger erano state evidentemente allevate in modo differente da certi scalzacani». E soprattutto la parte più triste della storia: nel settembre del 1980, dopo essersi ritrovato coi compagni di band nella nuova dimora di Page vicino a Windsor, John “Bonzo” Bonham si rese insensibile a forza di alcol e morì soffocato dal suo stesso vomito. Una settimana dopo, fu annunciato che il gruppo chiamato Led Zeppelin non esisteva più.

 

Elisa Russo, Il Piccolo 04 Agosto 2013

lz

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