MARY CUTRUFELLO Live Serra Hub 18.01.17

maryc4843L’ottavo anno di programmazione di Trieste is Rock inizia mercoledì 18 gennaio 2017 alle 22 alla Serra Hub di Via Economo, con il concerto di una rocker americana dalla graffiante voce soul, Mary Cutrufello.

Messa sotto contratto dalla major Mercury Records alla fine degli anni ’90 (“When Night is Through” è del 1998), girò in lungo e in largo l’America in tour con Danny Federici della E Street Band di Springsteen, collaborando anche con Neil Young, Willie Nelson e Jimmie Dale Gilmore (Rolling Stone la definì “Il futuro dell’Heartland Rock”). L’album fu un successo, ma sfortunatamente l’artista si trovò in mezzo al fallimento della Mercury e della fusione tra Seagram e PolyGram, restando così senza casa discografica e conseguente apparato organizzativo alle spalle. Da lì comincia la difficile strada dell’autoproduzione fino a una lunga pausa forzata dovuta a dei noduli alle corde vocali. Il suo ritorno, in grande forma, con il bellissimo disco “35” del 2008 è una rivincita che segna una virata più decisa verso il rock rispetto alle sonorità country degli esordi. Nel 2015 esce “Faithless World” che la ricongiunge al suo amore per il soul e per il Texas.

Racconta: «Sono stata in Italia ogni anno negli ultimi otto anni. La amo! Ho un cognome italiano, del Sud: sono stata adottata da una famiglia di origini siciliane. Il cognome suona semplicemente “italiano” per gli americani, ma quando vengo nel Nord Italia, suona come “meridionale”. Non so cosa significhi, ma presumo voi sappiate qualcosa che io non so! Almeno è piacevole sentirlo sempre pronunciato correttamente».

Conosce anche band o artisti italiani?

«Le band italiane difficilmente arrivano in America, ma ho conosciuto qualche grande musicista italiano in Italia. Adoro Lorenzo Bertocchini (Apple Pirates di Varese), Cesare Carugi (Toscana), Hernandez e Sampedro (di Ravenna). E ho avuto modo di scoprire Fabrizio de André. Devo faticare per tradurre e comprendere la sua poesia, ma quando ce la faccio, è splendido. Mi fa capire quanto le persone straniere si sforzino per capire l’inglese delle canzoni. Sono riconoscente che facciate questo sforzo per capirci! E sono anche imbarazzata per il fatto che gli americani si aspettano che tutto sia sempre in inglese, e credono che se è in altre lingue allora non è importante. Siamo molto pigri qui».

Che concerto vedremo?

«Questa volta porto un tour acustico. Il mio modo preferito di suonare è con la band, ma è molto costoso farlo oltreoceano. In ogni caso ho scoperto che posso proporre uno spettacolo denso anche solo con una chitarra acustica. Parlo quel po’ di italiano sufficiente per raccontare una storia introduttiva per ogni brano, e spero aiuti il pubblico a capire meglio le canzoni che propongo. Per i testi del mio ultimo album “Faithless World” ci sono delle ottime traduzioni di Cesare Carugi nel booklet del cd (l’edizione Italiana su Appaloosa Records). Mi piace essere compresa, e a volte è frustrante quando so che sto cantando qualcosa che è difficile da tradurre. Faccio il meglio che posso, ma spero sempre di poter fare ancora meglio. Enrico Cipollini (Underground Railroad, Free Jam e Violassenzio) suonerà con me a Trieste. Lo conosco solo da internet, ma sono molto colpita dal suo modo di suonare la chitarra e cantare. Penso che ci sarà il tempo di provare assieme qualche canzone prima del live».

Com’è cambiato il music business da quando esordì?

«Sono nel music business da 25 anni. 25 anni fa tutti volevano essere su major ma adesso è così solo per chi fa pop. La musica indipendente non passa in radio così non hai bisogno di avere una grande etichetta per avere successo. Se ami la musica roots americana, è tutta roba underground ora. In qualche modo in America le cose ora vanno come sono sempre andate in Europa: non passi alla radio ma un sacco di gente capisce quello che stai facendo. Nessuno è grande quanto i Rolling Stones – perfino Springsteen qui suona in posti più piccoli di quelli che fa in Europa ma i fans sono davvero devoti!».

Cosa ascolta in questo periodo?

«Non ascolto tanta roba nuova, ma ascolto i miei amici e persone che mi piacciono: Jason Isbell, Reckless Kelly, Steve Earle. Dale Watson e Ray Benson hanno appena fatto un disco assieme. Li conosco da tanto tempo e spero possano venire in Europa. Tutti quelli che fanno questo genere di musica hanno grande rispetto per il passato: Merle Haggard, Ray Price, Willie Nelson. So che anche gli europei che seguono questa musica hanno fatto i compiti e conoscono il passato. Ed è bellissimo arrivare in Europa e parlare di musica del passato che perfino molti americani hanno dimenticato».

Altre fonti di ispirazione?

«Leggo molto. Mi piace Cormac McCarthy, che descrive un mitico West mai esistito veramente, ma che esiste nell’immaginario collettivo, come un film di John Ford. Ha a che fare con il modo in cui l’America esiste nella mente dei non americani, parti oscure comprese, oltre a quelle fighe. Ho letto anche l’autobiografia di Springsteen. L’America è pazzesca, non abbiamo 2mila anni di storia, ciascuno ha origini diverse, ma abbiamo questo sogno americano che non è una cosa reale, ma tutta la nostra arte è una conversazione con questa grande idea su chi siamo, e su come siamo diversi da qualsiasi altro paese, ma alla fine non lo siamo. A volte ci stupisce scoprire che siamo proprio come tutti gli altri. A volte è una scoperta piacevole, a volte meno. Ma penso che il centro dell’arte americana sia proprio il fatto di essere di qualche altra parte e avere questo sogno elusivo che non è reale ma ci fa andare avanti».

Il suo rapporto con internet?

«Mi piacciono le nuove tecnologie: quando venni per la prima volta in Europa 15 anni fa le persone avevano copie dei miei primi dischi che avevano comprato dall’America e ne ero grata: al tempo era costoso comprare le copie d’importazione. E dovevi davvero darti da fare per avere informazioni su di noi e sapere quali dischi comprare. Adesso tutti sono su Facebook, così posso pubblicizzare il mio tour italiano con gli amici italiani in dieci minuti, a gratis. Naturalmente, dal momento che ognuno può fare un disco oggi è più difficile scovare il disco bello tra tanti brutti, ma sono sempre felice del fatto che alla gente importa ancora scovare i dischi buoni. L’underground è ancora vivo e vegeto».

Che consiglio darebbe ai giovani esordienti?

«Ai giovani musicisti direi semplicemente di continuare a suonare. Almeno in America è difficile trovare posti in cui suonare che ti paghino abbastanza da viverci, ma penso sia importante essere in grado di offrire un grande live show. Parlo da adulta ora, ma quando ero giovane potevi imparare a farlo e pagarti l’affitto. Non so se sia ancora possibile, e allora mi chiedo come un giovane musicista possa imparare ad essere grande. Non ho una risposta. È triste».

Qual è stata la parte più dura del suo lavoro e quale la migliore?

«La parte più dura del mio lavoro è stata imparare a sopravvivere con la musica, perché in America andare ai concerti non è più comune come un tempo per le persone. La parte bella è che ci sia ancora qualcuno che viene ai concerti, in America e soprattutto in Europa. È bello quando la gente capisce quello che stai cercando di fare, anche se di mezzo c’è una traduzione!».

Un disco nuovo?

«Non ho in programma di registrare quest’anno. Oggi puoi fare un disco in economia, ma farlo davvero per bene è costoso. Magari l’anno prossimo».

Un messaggio ai fan italiani.

«(Risponde in italiano ndr) Ai miei amici Italiani, grazie per l’ascolto! Rock’n’roll non è morto, vive in ognuno di noi. Io credo ancora in una canzone bene scritta, buona suonata e bella cantata. See you soon!».

Elisa Russo, in parte su Il Piccolo 16 gennaio 2017

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