MATT BIANCO A SAN GIUSTO IL 13.08.22

“Get Out of Your Lazy Bed”, “Half a Minute”, “Don’t Blame It On That Girl”, “Yeah Yeah”, “More Than I Can Bear”, “Whose Side Are You On?”, “Sneaking out the Back Door”, “Dancing in the Street”… sono davvero tante le hit dei Matt Bianco impresse nella mente del grande pubblico, spesso legate agli anni Ottanta, epoca dell’esplosione della band britannica. Formati nel 1982, raccolsero da subito dischi d’oro e di platino, imponendosi sul mercato internazionale; latin, jazz, funky, bossanova, pop: un mix festoso che è diventato il marchio di fabbrica del gruppo capitanato da Mark Reilly. Sono in concerto al Castello di San Giusto sabato alle 21, seconda serata marchiata Miela/Bonawentura per Trieste Estate. 

«Ci sarà una band di sette elementi – anticipa Reilly – il sapore è quello del jazz e non mancheranno le nostre hit e canzoni preferite». Sul palco assieme al frontman, il sassofonista inglese Dave O’Higgins (Jamie Cullum, Mezzoforte, Matthew Herbert), Sebastiaan de Krom alla batteria, Adam King al basso, Graham Harvey al pianoforte e al Fender Rhodes (conosciuto per il suo lavoro con George Benson, Incognito e Stacey Kent), oltre all’incredibile Martin Shaw alla tromba (grande orchestra della BBC che ha anche collaborato con Sting, Jamiroquai e Natalie Cole), e la cantante June Fermie (vanta collaborazioni con MJ Cole, Metrik e Clean Bandit).

Mark, negli anni la formazione è cambiata spesso, tanto che oggi lei è l’unico componente originario. Come sceglie i musicisti?

«Viaggio tanto in giro per il mondo, Brasile, Spagna, Miami, Cuba, e in ogni paese entro in connessione con musicisti che possono portare nuovi sapori al progetto». 

A giugno è uscito “The Essential Matt Bianco Re-Imagined, Re-Loved” cosa contiene?

«Durante il lockdown ho avuto modo di guardare indietro alla mia intera carriera e ho voluto riportare le canzoni ai giorni nostri, con una veste nuova. Certe versioni non sono troppo lontane dalle originali, altre invece sì. Ho incluso davvero tutte le mie favorite, che sono trenta». 

Qual è la canzone che ancora oggi la emoziona più di altre quando la interpreta?

«“More Than I Can Bear”: ci ha dato tanta popolarità, un grande successo. Significa ancora molto per me». 

Ci sono canzoni che con il tempo hanno assunto significati diversi?

«Alcune sì, perché cambiando la band che mi accompagna inevitabilmente devi ri-arrangiarle in base ai musicisti che hai a disposizione. Poi certo, il nocciolo rimane lo stesso, il testo è invariato».

Ha coperto una vasta gamma di generi. C’è qualche area inesplorata che vorrebbe sondare in futuro?

«Deve esserci… bè magari non mi sentirete mai suonare country o heavy metal… Amo il latin, l’r&b, il soul: sono i territori in cui mi sono sempre mosso, lì mi trovo a mio agio».

Con il mondo che ci circonda, gli anni ’80 oggi ci sembrano dorati. Ne ha mai nostalgia?

«Siamo tutti nostalgici, poi si parla di ricordi legati alla gioventù, quindi è inevitabile. Anche per l’arte erano tempi più felici, oggi sembra tutto ridursi a quanti like hai sui social media, come se la musica fosse in secondo piano». 

Ha sempre curato molto l’immagine. Il suo look attuale?

«Ho realizzato di recente un servizio fotografico a Milano, città della moda, i vestiti che indosso riprendono lo stile british fine anni ’60 e anni ’70, mi piace quel tipo di eleganza». 

Cosa la aspetta?

«Ho cominciato a buttare giù qualche idea per il nuovo album, per ora sarò però impegnato con il tour in Italia, Slovacchia, Germania, Spagna…».

Elisa Russo, Il Piccolo 12 Agosto 2022     

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