MAURO PAGANI A “BARCOLANA UN MARE DI RACCONTI” 07.10.22

«Adesso non corro più, cammino, come un viandante placido e curioso. Non ho più fretta, mi guardo intorno assaporando ogni secondo»: si può permettere di dirlo chi come lui ha alle spalle “Nove Vite e Dieci Blues”. Così s’intitola l’autobiografia di Mauro Pagani (Bompiani Overlook, pagg 222, euro 17), polistrumentista, compositore e produttore nato a Chiari nel 1946. Ha scritto la storia della musica italiana, fondando con quattro amici la Premiata Forneria Marconi, realizzando capolavori come “Creuza de mä” e “Le nuvole” al fianco di Fabrizio De André, «Sono stato fortunato – dice – lavorare con quelli bravi è più facile», ha collaborato con Stratos, Nannini, Vanoni, Vecchioni, Ranieri, Vasco, Ligabue, composto colonne sonore per Salvatores, fondato le gloriose Officine Meccaniche a Milano. Di questo e altro dialogherà venerdì alle 18.30 all’Auditorium del Salone degli Incanti, nell’ambito della quarta edizione di “Barcolana – un mare di racconti”, con Alessandro Mezzena Lona e Carlo Muscatello. «Adoro Trieste, – commenta Pagani – è una città di cui sento molto il fascino. Amo la cucina dell’impero, la letteratura austriaca di fine secolo, un pezzo di me è austro-ungarico». 

È stato difficile ripescare i ricordi raccolti nel libro?

«Le memorie più vecchie rimangono indelebili, perché il collante è l’emozione. Quando sei ragazzo hai tanti sogni, hai energia, ma spesso la si butta: citando Bernard Shaw “La giovinezza è sprecata per i giovani, è la persona matura che meglio sa come utilizzare una ricca vitalità”». 

Scrive “La musica nella mia vita c’è sempre stata”, è così?

«La propensione l’ho ereditata da mio padre che era un bravissimo musicista, con un orecchio assoluto. Per me aveva in mente un destino diverso, da ingegnere, perché erano anni in cui fare il musicista non era un lavoro stabile. Decise però di farmi suonare il violino, senza particolari ambizioni, e scelse questo strumento semplicemente perché conosceva un insegnante». 

Come mai nel 1977 lascia la PFM?

«Il mondo intorno stava cambiando, il gruppo aveva voglia di rimanere com’era e quindi ci siamo trovati ad avere idee diverse e le strade si sono separate, nel pieno del successo. Non abbiamo litigato, pensavamo che ci saremmo ritrovati. Purtroppo non è più capitato, però ho sempre molta stima di loro e siamo buoni amici».

Sono toccanti le pagine in cui ricorda Demetrio Stratos. Eravate molto legati?

«C’era un’amicizia profonda, ci frequentavamo quotidianamente e accettare la sua perdita per me è stato molto difficile. Era un uomo con un fisico possente, sembrava che non si potesse rompere. L’ultima volta che ci siamo visti lui era in ospedale, ci siamo parlati con un citofono attraverso il vetro e mi ha straziato sentire che la sua voce non c’era più». 

Il rapporto con De André?

«Non era un uomo facile. Credo di essere un buon compagno di viaggio, mi faccio coinvolgere, travolgere facilmente. Con De André abbiamo scritto insieme “Creuza de mä” e “Le nuvole” e realizzato un disco dal vivo.Fabrizio è stato bravo a difendermi dai miei difetti, mi ha insegnato molto a limitarmi, a non suonarmi addosso, diceva: “tutto ciò che non è necessario è superfluo” oppure “se non sai cosa aggiungere togli”». 

È mai nostalgico?

«Certo l’energia e la capacità di sognare che ho avuto in passato sono diverse da quelle di oggi. Ma continuo a pensare che beato è l’uomo baciato dall’utopia. Faccio parte della generazione che ha creduto in un mondo migliore di questo, Dio sa quanto ci sbagliavamo». 

Elisa Russo, Il Piccolo 04 Ottobre 2022  

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