«Penso che la musica possa essere uno strumento per cambiare la società, portare speranza nelle vite delle persone e tenere traccia della storia; i musicisti sono qui anche per lasciare un segno nella cultura e aiutare le persone a non dimenticare il passato»: parole di Mélissa Laveaux, venerdì alle 21 in concerto al Miela con il suo repertorio eclettico che parte dalla rilettura del retaggio haitiano, rivisitando la tradizione folk, blues, roots con un sound moderno che abbraccia l’indie-pop, l’afrobeat e l’elettronica.
La particolare miscela sonora si origina dalla sua biografia, Laveaux infatti è nata nel 1985 a Montréal da genitori haitiani, cresciuta a Ottawa e ora residente a Parigi: «I miei volevano che fossi haitiana in casa e canadese fuori – racconta – che conoscessi le mie radici ma non avessi problemi d’integrazione nella società in Canada. Parlavo francese a scuola e inglese con mia sorella e gli amici. Del creolo conoscevo poche parole sentite da mia mamma al telefono con i parenti».
Il suo primo album «Camphor & Copper» esce nel 2006, nel 2009 arriva «Dying is a Wild Night» (il titolo cita un verso di Emily Dickinson); in quell’anno si fa notare anche con una bella rilettura di «Crazy in Love» di Beyoncé. Passano ben cinque anni per il terzo capitolo, «Radyo Siwèl», uscito il 23 Marzo per Nø Format: «Un lavoro a cui tengo molto – spiega Mélissa – perché ho dato largo spazio al ricordo degli antenati, un omaggio ai miei predecessori e alle mie radici. Mi sono riavvicinata alla mia eredità, a parti della mia storia che per diversi motivi i genitori non mi avevano fatto conoscere pienamente mentre mi facevano crescere». La lingua creola, per esempio, è uno degli aspetti tralasciati dai genitori e ora usata nelle canzoni. Nel 2016 la cantante e chitarrista torna ad Haiti dopo 20 anni. Si sente straniera e, allo stesso tempo, è elettrizzata come un’esule che torna finalmente a casa. Nel tuffarsi e nello scoprire le canzoni folk che hanno formato gli artisti haitiani per intere generazioni, è subito affascinata dalla profondità e dall’opulenza di questa straordinaria eredità. All’arrivo a Port-au-Prince, nelle sue orecchie risuona forte la voce di Martha Jean-Claude, una cantante e compositrice haitiana leggendaria, i cui dischi hanno fatto da colonna sonora caraibica all’infanzia di Mélissa, trascorsa nei pungenti inverni canadesi. Imprigionata per la componente politica dei suoi pezzi e poi costretta a lasciare l’isola nativa per Cuba negli anni ’50, Martha Jean-Claude trascorse 34 anni cantando canzoni haitiane in esilio, e tenendo vivi il folklore e i ricordi della sua amata patria. Sebbene ci siano differenze significative nelle loro esperienze di espatrio, c’erano sufficienti elementi in comune perché Laveaux sentisse affinità. Torna a Parigi con la testa piena di suoni, melodie, stati d’animo e storie di tempi lontani. Il risultato è una tracklist ricca di allegorie e simbolismi propri della poesia e della canzone haitiana, come una specie di linguaggio della resistenza in codice. «Radyo Siwèl» analizza il periodo di occupazione americana di Haiti (1915 – 1934); per definizione della cantautrice, è «Il posto in cui un passato fiero ma spesso tragico incontra la promessa di un futuro migliore» e sarà il fulcro della scaletta dei tre concerti italiani (al Miela la prima, il giorno dopo a Mestre e domenica 13 a Roma). A Roma è passata spesso, a gennaio è anche stata ospite del programma di culto “Propaganda Live” su La7, dove ha suonato dal vivo, mentre l’estate scorsa ha partecipato ad alcuni spettacoli tra concerto e teatro e incontri in cui ha parlato di Edmonia Lewis, scultrice afroamericana che nel 1866 da New York si trasferì a Roma dove divenne una famosa artista. Laveaux ha poi intervistato artiste di colore che lavorano nel nostro paese, per un documentario e un disco di prossima uscita: «Purtroppo in 150 anni nulla è cambiato, parlando con loro ho ritrovato le stesse difficoltà lette nei diari di Edmonia».
Elisa Russo, Il Piccolo 10 Maggio 2018