Venerdì 22 Agosto, ultimo appuntamento con la rassegna del Gruppo Tetris al giardino di Via San Michele (Trieste). Salirà sul «Green Stage» il cantautore triestino Alessandro Giorgiutti, in arte Abba Zabba. Tra breve uscirà il suo debutto discografico: «Il disco verrà stampato per l’etichetta di Roma Centre of Wood e uscirà verso ottobre», spiega. «Il titolare è un ragazzo giovanissimo di 22 anni, Andrea Penso. Il booking sarà curato dalla R!SVP: sono le persone migliori, più professionali e affidabili che ho trovato fino adesso. La gestazione è stata un po’lunga, i pezzi sono pronti già da 8 mesi. Sarà un doppio ep: una ristampa del mio demo che s’intitolerà “Hollenbackinfakie” e poi un ep inedito “Today” con 5 brani. Sempre in chiave acustica ma con qualche ospite come Francesco Candura al basso, Stefano Vertovese alla chitarra, e il contrabbassista Massimiliano Sforza. È completamente registrato in 4 piste a cassetta, ho voluto tornare agli albori del mio tipo di registrazione. Quindi cassetta: la cosa più retrò che potevo trovare, che riporta ad un’atmosfera ben definita. E poi le ultime cose chiuse in studio. La copertina è stata disegnata da Andrea Rodriguez. Minimalissima come volevo: un cane disteso che dorme e uno che si sveglia. Volevamo giocare con semplicità su questo fatto. Risveglio dal torpore musicale del primo ep. (Il secondo è molto più solare, dai testi alle atmosfere)».
Il concerto ai Giardini?
«Non suonerò da solo. Mi accompagnano: Andrea Vergani (già chitarrista dei Butterfly Collectors), Francesco Zampieri alla batteria, Marco Seghene al basso. Sono felice perché ho trovato delle persone veramente eccezionali e pulite, che hanno preso a cuore la causa, i pezzi, l’atmosfera e credono in quello che faccio».
I tuoi riferimenti musicali?
«Pesco nel passato: Aretha Franklin, Ella Fitzgerald… Ho sempre concepito la musica come contorno per la voce. Mescolo tutto quello che ho ascoltato. Spesso mi paragonano a Jeff Buckley, Tim Buckley o i Radiohead perché basta che ci sia un mezzo falsetto per tirar fuori questi riferimenti… io credo di essere molto più vicino a Eddie Vedder che a Buckley. Però finché uno non mi dice che canto come Bruno Lauzi continuo a preferire il paragone con Buckley eh».
Gli italiani?
«Provengo da quello che ascoltavano i miei genitori. Mio papà era un rockabilly, ciuffo di gel in testa ed Elvis nel cuore. Roba americana. Il primo giorno che i miei mi hanno portato a casa c’era la commemorazione della morte di Elvis e, in fasciatoio, me lo sono ascoltato 24 ore per radio! Italiani poco: Battisti, Mina… Lucio Dalla: la voce per eccellenza. Ma ho più ricordi dei Beatles che di Guccini».
Non canterai mai in italiano?
«È una lingua molto difficile. Si rischia di essere banali, melensi. Non che l’inglese sia un nascondiglio, ma è sempre stata la lingua della musica che ascoltavo. A 7 anni mio nonno mi fece registrare una session natalizia: cantai Frank Sinatra e Bing Crosby. In italiano non trovo un filo che non sia scimmiottare qualcos’altro. Vorrei trovare un paroliere in italiano. Se azzecchi qualcuno che scrive davvero bene è eccezionale. In italiano se non sei minuzioso in quello che dici è la fine. Guarda Le Luci Della Centrale Elettrica. Le parole sono tutto, è diretto, ti arriva come una sega elettrica in faccia. Non dire cazzate e arrivare diretti, è difficile».
Ti è piaciuto The Niro dal vivo?
«L’acustica in piazza non era buona. Ma lui è un grande. Una persona che cammina per terra… con le pattine proprio. L’umiltà la metto prima di qualsiasi chitarra, voce, ukulele che uno possa suonare. Una persona umile mi affascina molto di più».
E tu sei umile?
«Non lo so».
Come ti definiresti?
«Idiota, pagliaccio e il contrario di queste due cose».
Impulsivo?
«Sì a manetta. Io esorcizzo con il gioco, con la musica… ogni tanto metto in musica quello che ho paura di dire e di fare».
Solare o ombroso?
«Solare da un paio di anni a questa parte, lo sottolineo».
E quando nasce la musica?
«In Spagna ho capito che posso scrivere anche in momenti molto solari. Prima scrivevo quando stavo male».
Sei prolifico?
«Ho una marea di canzoni. Le elaboro in chiave molto ampia, conta il risultato finale. Magari ho un testo nel cassetto da un anno e lo tiro fuori un giorno su una musica che non funziona da tre anni e all’improvviso le due cose si combinano magicamente insieme. Capita, quando studi e giochi con lo strumento, un’ora fa ero davanti a un pianoforte acustico, ho tirato fuori una cosa l’ho registrata, secondo me un buon inizio di qualcosa…».
Decidi da solo cosa tenere e cosa buttare?
«A volte i musicisti mi fanno capire che ci sono dei pezzi interessanti ma magari non centrano. Come se The Niro mettesse in mezzo ad un concerto due pezzi country. Mi interessa portare un’atmosfera unitaria. Non ho un mentore, ho lavorato molto da solo e ho imparato a mettere un freno per non andare in sovrapproduzione, ho sviluppato l’autocritica».
Chi stimi, a Trieste?
«Chi ha capacità di essere funzionale. Come Francesco Candura, che ha suonato con la miglior band indie che abbiamo avuto in Italia da 20 anni a questa parte: i Jennifer Gentle. Non è un caso. È una persona pratica, non parla, non sbandiera. Suona il pianoforte, la batteria, il basso, la fisarmonica… qualsiasi cosa. Poi sono largo di gusti: apprezzo Gonzales, Trabant, Paolo Serra. Stimo chi fa i dischi, cose tangibili ho paura dei sogni a caso».
Dove trovi l’ispirazione?
«Per la creatività fa bene mollare lo strumento, conoscere posti e gente diversa, ricevere energie. Sono stato un po’ in Spagna, non ho mai composto tante canzoni come in quel periodo. Suonavo in strada, nei locali, componevo».
A Trieste suoni poco, come mai questa scelta?
«Potrei suonare tre sere a settimana ma ne va della coerenza con me stesso. Non mi interessa di suonare in un posto in cui la gente mangia un cheeseburger mentre io gli canto Let it Be Me. No?».
Ti disturba se la gente fa casino ad un tuo concerto?
«Sta a te gestire la situazione. A Udine arrivò un gruppo molto rumoroso verso la fine del concerto. La cosa è finita con me in mezzo a loro, staccato dall’impianto a cantare insieme, mi hanno anche comprato il cd. Provo a darti quel che vuoi. Ci provo. Suonare in strada, a Fuerte, mi ha aiutato. Andavo due volte al giorno. C’era un mercatino. All’internet cafè mi scaricavo testi e accordi, facevo un centinaio di pezzi. Poi ho cominciato anche nei localini. In strada la gente non la freghi: se uno sta uscendo da un mercatino non contemplava un concerto in quel momento. Una coppia over 60 ad un concerto in un locale mi ha lasciato tipo 20 euro di birre. Hanno lasciato detto: «paga da bere alla gente e fate festa». Sono soddisfazioni».
Elisa Russo, in parte su Il Piccolo 08 Agosto 2008