PAOLO MONTRONE “MODERN TIMES ENSEMBLE”

Pubblicare un album che coinvolge musicisti professionisti da tutto il mondo: un disegno ambizioso quello del chitarrista, arrangiatore, compositore, produttore triestino Paolo Montrone, ideatore del progetto Modern Times Ensemble, album di debutto in uscita il sei maggio per l’etichetta jazz AlfaMusic di Roma. In questo caso la pandemia ha aiutato, lasciando più tempo libero. E così, a distanza, Montrone ha riunito: la cantante viennese Ursula Gerstbach, il batterista e percussionista di Los Angeles Adam Alesi, il bassista di origini brasiliane Itaiguara Brando, Paul Booth (che ha collaborato con Clapton e Santana) al sax, il batterista triestino trapiantato a Londra Davide Giovannini (una carriera al fianco di star come Paul McCartney, Steve Winwood, Lisa Stansfield), il trombone di Trevor Mires da Londra (George Benson, Pat Metheny, Alicia Keys, Beyoncé), la tromba più richiesta degli UK, Ryan Quigley. E ancora: Craig Akin, Manuel Trabucco, Jorge Ro, Chris Ott, Jon-Paul Frappier… Ma come ha fatto il chitarrista triestino ad avvalersi di questa squadra di top player? «Ho mosso i miei primi passi nel jazz – racconta – nel circolo di quella che oggi è la Scuola di Musica 55, Gabriele Centis, Fabio Mini, suonavo con Sergio Candotti, Vodopivec… Poi a vent’anni mi sono trasferito: New York, Parigi, Singapore, Amburgo e adesso Zurigo, quindi mi sono costruito una rete internazionale di contatti nella musica».

Ha mantenuto un legame con la città natale?

«Certo, anche se non ci vivo da più di 35 anni, ho ancora la famiglia lì, resta sempre nel cuore. Girando tanto ti rendi conto che è una città difficile da replicare, anzi a volte è un problema: a Trieste si vive troppo bene e ci si adagia, altre città spingono a far di più, per esempio ho vissuto vent’anni a New York, una metropoli difficile che ti stimola costantemente».

Il disco è stato realizzato completamente a distanza?

«Collegati via Zoom. Non avevo mai affrontato un impegno del genere. Nonostante non ci siamo conosciuti di persona, abbiamo creato un rapporto di rispetto e amicizia molto particolare. Tutte le tracce sono le performance originali dei singoli musicisti, non abbiamo praticamente utilizzato editing digitale: questo ha fatto sì che nonostante siano state registrate in remoto, la dimensione dinamica dell’ensemble è stata preservata. Spero l’ascoltatore lo percepisca. Molti degli strumenti utilizzati, come le mie chitarre, sono vintage (anni ‘50 e ‘60), così come la tecnologia valvolare per gli amplificatori, un ulteriore elemento di ricercatezza per un sound organico e puro».

Il genere?

«Abbiamo fatto la musica che piace a noi, con arrangiamenti raffinati, armonie ricercate, jazz con delle influenze pop e rock, con attento gusto armonico e melodico».

Il disco è anticipato dal singolo e video “Ramen Dilemma”. Di cosa parla?

«Della sfida delle nuove generazioni riguardo alla sostenibilità dell’ambiente, con un messaggio ottimistico: riusciremo a vincere questa dannata sfida con il riscaldamento del pianeta. Nel disco (i testi sono tutti miei, eccetto la cover di Fagen) ci sono anche riferimenti un po’ criptici a Trieste, o alla cultura giuliana in generale».

Il tema ambientale le sta a cuore?

«Mi occupo professionalmente di sostenibilità e il progetto ha impatto di emissioni zero. Ogni profitto sarà devoluto a Malizia Mangrove Project, un’attività di Boris Herrmann, famoso skipper (che accompagnò Greta al summit di Ny), un caro amico che spero di portare alla Barcolana un giorno».

Elisa Russo, Il Piccolo 12 Maggio 2022

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