«È una continuazione del progetto Side-Eye che sto portando avanti negli ultimi anni. Quella attuale ne è la miglior espressione, con l’incredibile batterista Joe Dyson da New Orleans e il pianista Chris Fishman da Los Angeles, musicista eccezionale. Una sorta di trio organistico del ventunesimo secolo». Così la leggenda della chitarra Pat Metheny descrive la formazione con cui salirà sul palco della 33esima edizione di Udin&Jazz, il 18 luglio alle 21.30 nel Piazzale del Castello di Udine. Universalmente riconosciuto come uno dei più grandi chitarristi della storia, 20 Grammy Awards vinti nel corso della sua lunga carriera («Se vieni a casa mia – dice – non vedrai nessun premio appeso al muro o esposto. Mi ha fatto piacere, ne sono onorato ma io guardo al domani. Ciò che deve ancora succedere è l’unica cosa che mi interessa»), collaborazioni con Ornette Coleman, Herbie Hancock, Jaco Pastorius, Milton Nascimento e David Bowie, Metheny è in grado di spaziare tra i più svariati stili musicali.

Qual è il suo rapporto con l’Italia?

«Ha sempre rivestito per me un ruolo molto importante: innanzitutto la adoro, ma poi c’è questo legame speciale tra il pubblico italiano e la mia musica. Non so spiegare da cosa abbia origine, perché il mio modo di suonare è molto personale e anche profondamente da americano del Midwest. Ma l’Italia è la patria della melodia, non posso non averne subito l’influenza e quindi ho cercato di onorare gli standard melodici che gli italiani custodiscono nelle loro anime».

Il 16 giugno esce il suo nuovo album “Dream Box”. Cosa può anticipare?

«Si focalizza su uno stile che mi piace definire “elettrico tranquillo”, e che racchiude numerose sfide. Continua sulla scia di tanti dischi come “One Quiet Night”, “What’s It All About”, “New Chautauqua”, “Zero Tolerance for Silence” che sono ciascuno un esempio di un modo differente di intendere un disco solista».

Quando chiude un lavoro ne è soddisfatto o le restano dubbi da perfezionista?

«Il mio obiettivo è sempre che ci sia una chiarezza d’intenti che mi convinca come ascoltatore. Questo può succedere in vari modi. Poi, come tanti altri colleghi, credo che una volta pubblicato un lavoro viva di vita propria, non è più affar mio».

Come fa una chitarra a esprimere un messaggio così potente senza le parole?

«Oh, io ho il problema opposto: raggiungere lo stesso risultato in campo verbale!».

È vincitore di 20 Grammy. Che effetto le fa?

«Quando sulla mia strada arriva un riconoscimento di qualunque tipo, lo apprezzo. Ne ho ricevuti alcuni che non mi sarei aspettato in un milione di anni. Al tempo stesso, passo la mia vita suonando tantissimo. Magari il martedì durante il concerto mi sembra di aver suonato meglio che mai, e sono riuscito a eseguire proprio come desideravo quel passaggio del solo che mi preoccupava. Ma oggi è mercoledì e al pubblico di stasera non importa nulla di come è andata ieri, devo solo sperare di non incasinarmi su quel passaggio e farlo bene anche oggi. La mia vita è improntata sul godersi le cose che stanno succedendo ora, e poi passare alle prossime». 

Sul palco sembra posseduto dalla musica. Cosa prova?

«Il bello di suonare, e in particolare improvvisando, è che sei dentro al momento, non c’è tempo di pensare a nulla, l’unica cosa è esserci, completamente». 

Altre novità in arrivo?

«Sto lavorando a qualcosa che è costruito sulla formazione Side-Eye ma si spinge oltre, prevedo sarà una delle registrazioni migliori che ho fatto, in uscita l’anno prossimo». 

Elisa Russo, Il Piccolo e Messaggero Veneto 15 Giugno 2023  

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