«Essere intervistato da Il Piccolo, che ha 140 anni di storia, lo interpreto come un dono dei miei antenati triestini»: ci tiene a questa premessa, Patrick Paulin, nato a Roma nel 1980. Figlio d’arte: il papà Flavio, triestino, è stato il fondatore e il primo cantante, nel 1970, de I Cugini di Campagna, autore di brani come “Anima Mia”; nel 1979, uscito dalla band, aveva realizzato il disco solista “Paulin” ed è proprio da lì che è voluto ripartire oggi Patrick. Pubblica infatti il suo esordio “Memorie dal Futuro” (Private Artists Records) di cui è voce e autore, mentre il padre è alla produzione e composizione insieme a un altro ex Cugino, Giorgio Brandi.
«Penso che Trieste rappresenti perfettamente il mio album – afferma Patrick –, da un lato perché è una città della scienza con centri avanzati di ricerca, dalla fisica teorica all’osservatorio astronomico arrivando al Sincrotrone e dall’altro lato c’è un’importante tradizione musicale, mio nonno elogiava il Conservatorio Tartini, la Cappella Civica con un coro polifonico straordinario, il Museo Carlo Schmidl. “Terrestri” è un brano che parla dell’importanza di non dimenticare le proprie radici e siccome le mie sono a Trieste vorrei tornare a visitarla, ho visto che c’è un festival dedicato alla fantascienza, il Science+Fiction, per me molto interessante, mi piacerebbe parteciparvi».
Si può dire sia cresciuto quasi mitizzando queste origini?
Trieste la conosco perché la vivevo attraverso i racconti nostalgici di mio nonno Pio Paulin, maresciallo dell’aeronautica, con il quale ho vissuto tanti anni, per fortuna mia perché era una persona splendida e lui mi descriveva i luoghi che riteneva magici, io usavo l’immaginazione per rappresentarmeli ed è un po’ la stessa immaginazione che uso oggi quando conduco gli ascoltatori verso mondi e tempi lontani. Mi parlava di Piazza Unità, di San Giusto, del Castello di Miramare, adorava il Caffè San Marco e quello degli Specchi, mi rimarcava l’importanza del porto, i suoi racconti sulla bora mi impressionavano molto e soprattutto mi diceva della gioia di vivere dei giuliani e delle ataviche differenze con i friulani. Nonno era una persona che sapeva davvero godersi la vita e io idealizzavo i giuliani estendendo a tutti loro l’attitudine che vedevo in lui, li consideravo persone che sapevano vivere. Da bambino mi ci portò qualche volta, ho dei vaghi ricordi di questo splendido golfo e di una piazza in cui giocavo a rincorrere i piccioni. E poi mi ha fatto piacere scoprire la storia di Alberto Paulin, il mio bisnonno, fondatore e direttore de Il Corriere di Trieste nel 1945.
La musica entra presto nella sua vita?
Non è la musica a essere entrata nella mia vita, ma io a essere nato nella musica! Sono cresciuto in un posto colmo di questi oggetti strani chiamati strumenti musicali che suscitavano la mia curiosità, li toccavo, li esploravo. Quando ero bambino mio papà si svegliava nel cuore della notte per mettersi a suonare il pianoforte, ho il vivido ricordo di quelle magiche vibrazioni che attraversavano il mio corpo mentre ero nel letto dormiente, e mi sono davvero rimaste dentro, tant’è che credo ancora oggi siano proprio la sorgente della mia musicalità.
Studi classici del pianoforte e moderni. Poi?
Nel mezzo infiniti ascolti di tutti i generi musicali anche sperimentali, che hanno portato alla fondazione di una band, i Divine. Poi le nostre carriere si sono divise.
La genesi di “Memorie dal Futuro”?
Partito da una mia idea, ho creato un lavoro di squadra. Oltre a mio padre che è uno dei produttori devo ringraziare Giorgio Brandi, musicista sopraffino con il quale lavoriamo in simbiosi artistica. Dopo l’incontro con Brian Eno ho cominciato a pensare a me stesso come un professionista, cambiando l’approccio alla musica e all’arte in generale. Se prima – ed è il motivo per cui il mio esordio arriva a quarant’anni – vivevo la musica come una passione e un’attività da relegare nei weekend, dal 2016 ho ribaltato completamente la cosa facendo sì che diventasse il mio primo lavoro.
La scrittura?
Mi sono trovato benissimo, la scuola di mio padre mi ha instradato, mi è sempre piaciuto scrivere fin da quando ero bambino. Essendo musicista riesco a trovare le parole giuste da accompagnare al suono, il senso può risultare criptico ma mi interessa che la parola sia giusta a livello sonoro. Alla fine non è stato difficile come pensavo. È stata una bella avventura.
La sua idea di successo?
Dai racconti di mio padre lo temo un po’, sono anche più introverso di lui per il mio lato nordico, mi dice sempre che il primo anno si divertì ad essere famoso, poi c’era il conto da pagare e diventava faticoso non poter andare al cinema o al bar senza essere riconosciuto. Più della fama mi attira l’idea di sentirmi un cult, amato da una nicchia ma non dalla massa. Quindi per adesso mi sento di andare controcorrente, in una direzione anti-commerciale.
Nessuna presentazione live del suo album?
Anche potendo, mancherebbe lo spirito giusto: non vorrei vedere le persone distanziate, con la mascherina, meglio aspettare, anche se non vedo l’ora. Ultimamente ho maturato molta esperienza in studio di registrazione e preferisco lavorare sul secondo album. Temo che purtroppo in futuro dovremo convivere con pandemie più o meno violente, figlie del mondo globalizzato.
“MEMORIE DAL FUTURO” IL DISCO D’ESORDIO
Patrick ha deciso di riprendere lo stile dell’album “Paulin” di suo padre, riadattandolo alla sua personalità e portandolo ai tempi odierni: voleva dare un seguito a quel lavoro perché gli era rimasto il dispiacere di vederlo non valorizzato, anche se per fortuna recentemente la critica lo ha riscoperto. “Memorie dal Futuro” è un concept album di musica elettronica (con inserti di archi e pianoforte classici) dal sapore mitteleuropeo di cui Patrick è interprete protagonista e autore della parte letterale. «L’album da Roma e Berlino passa anche a Trieste. Ci sono delle influenze sia italiane che nordiche – dice – perché sono svedese da parte di mia mamma e c’è la parte mitteleuropea dato che da lì provengo. A proposito… recentemente ho letto “Danubio” di Magris e me lo sono goduto proprio».
L’INCONTRO CON BRIAN ENO
Nel 2009 Brian Eno era al Palazzo Ruspoli di Roma con “Presentism”. Patrick Paulin volle stringergli la mano e ringraziarlo per quello che aveva fatto per la musica, presentandosi come il figlio del primo autore di un disco di musica elettronica in Italia. Il grande artista britannico si incuriosì e più tardi ricevette in privato Patrick con il papà che gli raccontò di quando si fece costruire un apparecchio per la sincronizzazione dei suoni del suo album. «A me disse – ricorda Patrick – che il mio lavoro erano le mie idee, che a lui piacevano. E mi suggerì di non farmi troppi problemi in merito alla presenza della figura paterna. Mi diede una carica che ancora mi porto dentro e gliene sarò sempre grato, sia per l’umiltà con cui mi dedicò il suo tempo, sia per la profondità delle sue parole».
Elisa Russo, Il Piccolo 17 Aprile 2021