PATTI SMITH «Devotion – Perché scrivo» (Bompiani)

Sold out ieri al Goldoni di Venezia e questa sera all’Auditorium Parco della Musica di Roma per Patti Smith con «Words and Music», un reading intervallato da alcuni dei suoi brani più famosi, con il figlio Jackson Smith alla chitarra, Tony Shanahan al basso, il chitarrista Lenny Kaye e il batterista Jay Dee Daugherty.

Nel frattempo, per spiegare quella magia che fa entrare un artista in intima relazione con il suo pubblico, Patti Smith apre i suoi taccuini e con «Devotion – Perché scrivo» (Bompiani, pagg. 135, euro 13, traduzione di Tiziana Lo Porto) lascia il lettore libero di sbirciare tra le connessioni inaspettate che stanno alla base del processo creativo: «Perché ci si sente in dovere di scrivere? Per isolarsi, proteggersi, perdersi nella solitudine, malgrado i desideri degli altri. Virginia Woolf aveva la sua stanza. Proust le sue finestre chiuse. Marguerite Yourcenar la sua casa silenziosa. Dylan Thomas la sua umile capanna. Cercavano tutti un vuoto da riempire di parole. Le parole che penetreranno in territori vergini, infrangeranno combinazioni non rivendicate, articoleranno l’infinito». In treno, nei caffè, nei parchi: l’artista americana scrive ovunque, si fa distrarre da quello che la circonda, in un viaggio in Francia con tappe come la casa di Camus, il giardino dell’editore Gallimard dove si mescolano i fantasmi di Mishima, Nabokov e Genet, le strade di Parigi dei romanzi di Patrick Modiano, la città nativa del poeta Paul Valéry, Sète. E poi al cimitero di Bybrook ad Ashford, nel Kent, per visitare la tomba di Simone Weil, filosofa e scrittrice morta a soli 34 anni, le cui opere sono state poi divulgate e promosse da Camus. È proprio Simone, con i suoi capelli scuri e folti e la pelle di porcellana, a ispirare i tratti di Eugenia, la protagonista di “Devozione”, racconto che è il fulcro di questo libro e che la Smith scrive mentre è in viaggio in Europa, e poi al ritorno a New York. Con un certo stacco, due sezioni racchiudono questo racconto breve, quella iniziale “Come funziona la mente” e quella finale “Un sogno non è un sogno”, dedicate ai retroscena della scrittura. Le parti di raccordo risultano preziose ancor più del racconto stesso, segno che il talento della rocker americana si esprime al meglio nelle prove di carattere autobiografico (come nel suo imprescindibile memoir “Just Kids”) o nelle poesie, più che nella fiction. Nelle ultime pagine di “Devotion” la Smith brilla davvero per autenticità, quando racconta di aver dormito nella stanza di Camus, invitata dalla figlia nella villa a Lourmarin acquistata con i soldi del Nobel assegnato al padre. Patti aveva 14 anni quando il grande scrittore francese perse la vita e occupare la sua camera le procura un’emozione vibrante, poter sfogliare il manoscritto del “Primo Uomo” le dà una spinta quasi mistica che la fa esclamare: «Qual è il sogno? Scrivere qualcosa di bello, che sia migliore di me, e che giustifichi le mie tribolazioni. Perché scriviamo? Perché non possiamo soltanto vivere».

 

Elisa Russo, Il Piccolo 10 Giugno 2018

Patti Smith

 

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