«Non si può approssimare la verità, né aggiungere né togliere, perché sulla terra non c’è niente di simile al vero pastore e in cielo non c’è niente di simile alla sofferenza della vita reale». Alla perenne ricerca di qualcosa di vero, puro e diretto, qualsiasi sia il mezzo di comunicazione scelto: quasi una missione per Patti Smith, che arriva nelle librerie italiane con il suo ultimo libro, «L’anno della scimmia» (Bompiani, pagg 240, 17 euro) ottimamente tradotto – compito non facile – da Tiziana Lo Porto.
L’anno della scimmia è il 2016, l’anno lunare che porta con sé svolte inaspettate e passaggi esistenziali. Per la Smith diventa un anno di bilanci e separazioni. Sta per compiere settant’anni e mentre sullo sfondo si rincorrono le miserie della situazione politica americana, Sandy Pearlman, amatissimo mentore, è in ospedale, immerso in un sonno che preannuncia la morte; Sam Shepard, amico di una vita, arretra di fronte alla SLA che si è già presa le sue mani. I tre si conoscono dal 1971, quando lei teneva i primi reading di poesia alla Saint Mark’s Church. Fu proprio Pearlman a dirle che avrebbe dovuto fare la cantante in un gruppo rock, e lei si era messa a ridere rispondendo che un lavoro già ce l’aveva, come commessa in una libreria, ma Shepard aveva ribattuto profeticamente che nella vita lei avrebbe potuto fare tutto: «Eravamo così giovani a quel tempo e pensavamo la stessa cosa. Che potevamo fare tutto». «Muoiono tutti – le dice invece Sam nell’anno della scimmia -, ma a me sta bene. Ho vissuto la vita che volevo vivere», e passano il tempo assieme parlando di Tabucchi e Nabokov. «Certi libri non si leggono, si assorbono» scrive la sacerdotessa del rock, che infarcisce le pagine di citazioni dei suoi amori letterari da “Pinocchio” di Collodi, “Alice nel paese delle meraviglie” di Lewis, a Roberto Bolaño (una vera e propria ossessione per “2666”, letto e riletto).
Non mancano gli aneddoti, come quello in cui la Smith, nell’intervallo di Tristano e Isotta alla Scala, per sbaglio entra in una stanza in cui si allestiva una mostra. Ed è lì che vede il caftano nero che Maria Callas indossava interpretando la Medea di Pasolini. E poi la tunica, il copricapo e la casula riccamente ricamata che era costretta a indossare mentre correva «in un caldo così intenso che si dice che Pasolini fosse in costume da bagno».
Tra fotografie e frammenti onirici, pagine di diario e slanci poetici, incontri con personaggi reali e immaginari, i viaggi che scandiscono il 2016 diventano tappe di un percorso mistico, a tratti erratico, sempre intenso, sospeso tra sogno e realtà. Perché nell’anno della scimmia tutto è possibile.
Nell’edizione italiana è stato aggiunto anche un epilogo che dal 2016 arriva a pochi mesi fa, con uno sguardo al virus che «si imbarca da Wuhan» finché «i notiziari avvisano che tutta la popolazione italiana è in quarantena, un intero paese in lockdown. Immagino i bar con le macchine per l’espresso dorate, i musei, i teatri e le strade tortuose, vuote per decreto (…). In isolamento, aspettano il virus, come fosse un’imminente invasione barbarica. Ed è qui che vi lascio, con una strategia catastrofica che rivaleggia con la prudenza».
Elisa Russo, Il Piccolo 24 Agosto 2020