Quest’anno non ho visto neanche 10 secondi di Sanremo.
Ma neanche 5, proprio. So solo che c’erano i Marlene Kuntz, che Belen ha mostrato la farfalla e che la Bertè sembrava Richard Benson. Se c’è altro da sapere, me lo sono perso.
Ah sì, poi ho letto che una certa Emma si è dimenticata di citare o ringraziare l’autore della canzone al momento della vittoria (te credo, si chiama Kekko… come fai a citarlo?) e questo Kekko è andato in isteria nel luogo in cui manifestano l’isteria i veri uomini: su Facebook.
Poi sembra che lei non gli abbia risposto a chiamate ed sms ed il tipo è andato completamente in acido.
Robe brutte.
Citate gli autori delle canzoni, soprattutto se vi fanno vincere Sanremo!
Sul Festival e dintorni il musicista Cesare Picco ha scritto su il Post:
“Quotidianamente è come se dimostrassimo al mondo che non ci interessa la musica, ma quello che c’è attorno: aeroporti, ascensori, bar da happy-hour. In ultimo, interessa il Festival di Sanremo non come contenitore di musica, ma come contenitore altro, dove eventuali nuove derive possano scatenare la stampa e far parlare il bar sotto casa. La musica a Sanremo è il motivo dimenticato per il quale si è su quel palco. Come per qualunque altro talent-show. E non importa se conduttore e cantante vincitrice non si ricordano i nomi degli autori. Questa è solo una delle piccolissime violenze di cui non ci si accorge neanche. Educazione alla musica, all’ascolto: mancano i fondamentali in questo paese, è inutile. E non solo per la musica”.
Saltando a pié pari Sanremo, ho guardato invece, sperando di trovarci maggior spessore, i Brit Awards.
Sembra di stare su un altro pianeta eh.
Hai visto la performance dei Blur, premio alla carriera?
Pensa che a poche ore dall’esibizione, nella capitale britannica le vendite degli album dei Blur si sono impennate del 2700%.
2700% in poche ore, così a naso mi sembra uno sproposito.
Qua in Italia devi stare 2700 anni per vendere poche copie, invece.
Comunque un appunto lo devo fare anche ai British, eh.
Speravo che lì la classe inglese la facesse da padrona, ma mi sono subito imbattuta nel dito medio di Adele. Ha vinto sei Grammy e si è portata a casa due statuette come miglior artista femminile e miglior disco dell’anno, poi ha fatto il suo discorso di ringraziamento. “Non c’è niente di meglio che vincere sei Grammy e poi tornare a casa e ricevere il Brit per l’album dell’anno, sono così orgogliosa di portare la bandiera britannica per tutti voi”. E fin qui tutto alla grande. A questo punto, però, mentre lei era tutta infervorata nei ringraziamenti, è intervenuto il conduttore James Corden, che l’ha interrotta brutalmente per presentare l’esibizione dei Blur. La star non ha reagito bene, con faccia di gesso ha salutato al volo e ha mostrato il dito medio al pubblico. Era lì lì per mangiarsi anche il conduttore, poveraccia.
A fine serata, Adele si è scusata: “Quel gesto era rivolto agli organizzatori, non ai fan”.
Quelle classiche scuse sincere eh. Non indotte dai manager e discografici!
Le avranno dato 2700 padellata per la cofana, dietro le quinte. 2700 al secondo.
Che poi un gesto così te lo puoi aspettare da tutti, ma non da lei.
Adele è tutta posatina.
Il dito medio era più roba per
M.I.A. al Superbowl, lì ci stava. Lei è una ragazzaccia. Bad Girl.
Era pure vestita da Carnevale, M.I.A. chissà se indossava anche quelle comodissime mutande che aveva Belen a Sanremo. Le prime mutande che si indossano all’interno invece che all’esterno.
Ma per piacere.
Certo se fossi un essere superiore, non le citerei neanche queste mutande, interiori come uno stato mentale. Ma ancora non mi sono elevata così tanto.
Io capisco che, come ha detto un famoso dottor filosofo,
“l’artista comodo non è un artista; l’artista è una scomodità vivente” ma non penso si riferisse alle mutande.
Almeno quelle, indossale comode.
Senti un po’ cosa dice Nick Hornby sull’arte:
“L’arte, se ti sta a cuore veramente, vale tutta l’infelicità e la sofferenza che può procurare. Se per raggiungere quel traguardo devi ferire qualcuno, è giusto farlo. Se il risultato è abbastanza bello, abbastanza strano, abbastanza memorabile, non ha importanza: ne sarà valsa la pena”. Così la pensa Caleb Fang, subito dopo aver sparato al suo compagno in una performance particolarmente audace. Ho il sospetto che molti di noi tra quelli che passano le giornate a inventare storie, a un certo punto abbiano sposato una filosofia del genere. O almeno abbiano sperato di essere abbastanza crudeli e determinati da poterlo fare”.
Quanto vorrei essere crudele.
Quanto.