Il 28 Febbraio è uscito ufficialmente il secondo disco solista di Stefano Edda Rampoldi, “Odio i Vivi”: ce ne siamo occupati con lo speciale di mercoledì scorso e ancora ce ne occuperemo.
Cerco di ascoltare questo album ufficialmente, come fosse la prima volta.
Ma non ci riesco.
Mi si aprono storie, intrecci, mondi.
Stefano è convinto che questo disco non mi piaccia, ma non è assolutamente così. Mi piace molto. Eccome se mi piace.
Lo ripeterò più volte, in questa rubrica.
Come un mantra.
MI PIACE.
Solo che in questi anni ho avuto il privilegio di sentire l’evoluzione, l’involuzione, la rivoluzione dei pezzi che sono finiti nei due dischi solisti di Edda.
È un privilegio enorme, di cui sono riconoscente a Walter Somà, autore (di testi e musiche) assieme ad Edda di gran parte dei brani, che in questi anni mi ha aggiornato passo dopo passo inviandomi le registrazioni e i demo in fieri.
Su come questi due scrivano le canzoni assieme, secondo me nessuno ha un’idea precisa (neanche loro?), eppure è una questione fondamentale.
Forse non lo sanno perché è qualcosa di naturale (e soprannaturale).
Come una visione.
Naturale non vuol dire facile. Diffido di quelli che dicono: la canzone si è scritta da sé. A volte magari esce di getto, ma vi è dietro un dispendio di energia, il risultato può appagare ma ti prosciuga anche. Dar vita a qualcosa è sempre faticoso. L’immagine stra-usata del parto me la eviterei, ma so che è efficace. E nessuno partorisce qualcosa nel sonno, se ci fai caso.
Non è che ti svegli e ti ritrovi un disco pronto, un libro scritto o una tesi di laurea sul punk impaginata tanto per fare un esempio a caso.
Come nascono queste canzoni faticose di due artisti che faticano molto?
Secondo me il processo base è: Walter butta giù una bozza di canzone. Molto bozza ma anche molto canzone: testo e musica. E armonie vocali. Una bozza con anima e corpo insomma. La propone a Stefano e la sviluppano assieme. Poi quando i due si dividono, Stefano rielabora ulteriormente il brano, rendendolo molto personale e stravolgendo al massimo le parole. Lavorando a questo modo, diventa difficile stabilire chi ha portato cosa: della bozza iniziale di Walter può rimanere il 10% come il 99%. Volendo si potrebbe anche stabilire matematicamente, visto che le note sono note e le parole sono parole (cioè quantificabili).
Ma non siamo qua a dare i numeri.
Sono contenta che per questo secondo album, il contributo di Walter venga un po’ più riconosciuto rispetto al primo: quasi tutti quelli che ne scrivono se non altro lo citano.
Anche se non sempre in maniera corretta al 100%:
scrivere che Walter è autore dei testi, come ha fatto qualcuno, è sbagliato!
O meglio, inesatto.
Ma di robe imprecise se ne leggono diverse.
C’è addirittura chi sente le chitarre di Gionata Mirai! (che non ci sono).
[Ma magari non sente le assonanze tra “Cleveland/ Baghdad” e “Odio i Vivi”].
Ma vabé, non stiamo qui a contar note e accordi.
Ascoltando “Odio i vivi” ho ben presenti le canzoni di Walter che vi sono confluite: “Il senso” che diventa “Il seno”, “Nei miei stupidi ambienti” che fa capolino in “Odio i vivi”, “Le parole giuste” che prende nuove forme in “Tania”, “Guardami” che dà vita a “Omino Nero” e così via. “Qui” era uno dei primi pezzi comparsi tra i video di You Tube (2008) ed è un pezzo molto alla Somà, “Emma” si chiamava “Strade” (e parlava di Elda arrivata dalla Romania in una cisterna) forse ancor prima che Edda incontrasse Emma e così via.
Questa premessa, solo per dire che queste canzoni hanno una storia.
Che non pesa in alcun modo sull’ascoltatore del cd che vi si approccia per la prima volta, ma che pesa su di me.
Che mi ero innamorata di certe versioni, perché “Anna” chitarra e voce con tutte le sue imperfezioni mi aveva stesa. Perché poi l’eroina diventa coccoina o colombina, e “sono proprio un uomo di merda” diventa “sono proprio il figlio di Edda”. Perché ad un certo punto esisteva una versione di “Odio i Vivi” che era qualcosa di spaziale. Etc.
E allora ho fatto davvero fatica ad entrarci in questo disco, una volta uscito definitivamente e ufficialmente.
Perché oltre a sapere come sono le canzoni oggi, so com’erano e come sarebbero potute essere. Ne ho una visione così ampia, che a volte le sento imprigionate nel cd. Come se non avessero abbastanza spazio. Per questo amo i concerti di Stefano, in cui tutto può succedere a quelle canzoni, che finalmente si liberano. E Edda usa la sua voce al 100% (vedi “Suprema” In Orbita, a mio gusto una delle sue migliori performance).
Per me la dimensione ideale di Stefano era (con i Ritmo) ed è ancora oggi, il concerto più che lo studio.
Perché Stefano è così tanta roba da non potersi contenere in un cd.
“Odio i vivi” sta piacendo.
Secondo me c’è pure qualcuno che si sveglia un po’ tardi (se “Odio i Vivi” è un capolavoro, “Semper Biot” non è da meno).
E ribadisco: piace anche a me, ho solo faticato di più ad entrarci. Ma tutto fa fatica. E le cose belle non sono gratis.
Figurarsi poi, se si possono assorbire due artisti pesanti, densi e faticosi come Stefano e Walter così a cuor leggero.
FA-TI-CA-RE.
La stampa l’ha accolto benissimo.
E parliamo di firme come Zingales e Guglielmi (per ora i due che hanno scritto le cose migliori per la stampa, assieme ad Enzo Curelli per il web).
Che sia uno dei dischi più belli usciti in Italia quest’anno e il prossimo e nell’ultimo decennio non ci piove.
Ma per me è sempre stato così: ogni disco dei Ritmo, “Semper Biot”, “Edda in Orbita”, ogni singolo demo casalingo e filmino su You Tube… Cioè: Edda è superiore. Lo è sempre stato. Non c’è nessuno che giochi la sua partita, nella sua categoria, il suo sport. Edda non sta su un altro pianeta. Edda è un altro pianeta. Se c’è qualcuno che se ne accorge oggi, mi sta benissimo e mi rende felice. Ma io lo so dai tempi dei Ritmo, quei pazzi di Niegazowana lo sanno da quando hanno deciso di investire su un artista di cui un discografico di una major predisse nel 2008 “che si sarebbe fermato a due filmini su You Tube perché non riuscirà mai a realizzare un disco”.
E la mia stima, fiducia, amore per Edda mi fa sostenere con molta sicurezza che è di più di quello che esce da “Odio i Vivi”.
Qualcuno ha parlato di rinascita, ma non lo è.
Questa è una tappa di un lungo percorso, che ha senso proprio nel suo insieme.
Io credo che questo percorso non sia affatto finito, anzi.
Ci saranno altre sorprese e altre soddisfazioni, ne sono certa.
Stanno già arrivando, con i primi concerti di questo tour.
Ecco questa, oltre ad essere in parte la rubrica radio
è una pre-recensione.
(La recensione poi arriva il 23 marzo su Il Piccolo, queste erano le riflessioni preliminari.
E lo ripeto: il disco mi piace, e molto!).
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