Oggi segnalo un libro che non è fresco d’uscita, ma che io ho letto solo ora. È uscito nel 2003 (ristampato poi nel 2009). Si tratta di “I ragazzi del Mucchio” di Silvio Bernelli (Sironi Editore). L’autore è stato bassista delle hard core punk band Declino e Indigesti, oggi è musicista e scrittore. La storia vera raccontata nel romanzo di esordio di Bernelli è quella di un pugno di ragazzi appena maggiorenni, musicisti non solo dei sopraccitati Declino e Indigesti, ma anche dei Negazione: un gruppo allargato di amici che si chiamarono appunto Il Mucchio Selvaggio ispirandosi al celebre film.

Confesso che a libro terminato, mi è scesa una lacrima. Complici ricordi d’adolescenza di una storia che comunque ho vissuto in prima persona (se non la Torino dei Negazione e co., la Trieste degli Upset Noise): il clima, l’attitudine, l’umanità, la spinta, il modo di vivere la musica in quegli anni, le illusioni e le cadute, amori inclusi erano, alla fine, gli stessi… Un pensiero inevitabile, poi, è andato ad uno dei protagonisti del libro che non c’è più: il triestino Fabrizio Fiegl (batterista di Upset Noise e Negazione) che ci ha lasciati a luglio 2011. 

La vicenda inizia negli scantinati della Torino dei primi anni Ottanta e irrompe sulla scena della musica indipendente di mezzo mondo, Stati Uniti compresi.

I racconti dei tour sono epici. Ricordano quelli letti in American Hard Core, i leggendari primi tour dei Black Flag, per dire. La storia è sempre quella: tornare a casa contenti per non essere andati in perdita, o per non averci rimesso troppo. Ai protagonisti del libro capita, per esempio, di essere accolti da un ragazzo basco che li accompagna in un pianerottolo zozzo, loro aspettano che tiri fuori la chiave per aprire la porta ma lui dice molto naturalmente: “quali chiavi? Mica ho una casa… potete dormire qui per terra!”.

“Le date venivano cancellate il giorno stesso del concerto e quando invece andavano a buon fine ci si trovava spesso davanti a impianti penosi, fonici all’esordio e persone armate di buona volontà che però si sarebbero trovate in difficoltà anche a organizzare una festa di compleanno. A volte ci si sobbarcava un lungo viaggio con gli strumenti per poi esibirsi davanti a uno sparuto gruppo di fedelissimi, semplicemente perché i promoter avevano dimenticato di mettersi d’accordo su chi tra loro avrebbe dovuto inviare il comunicato stampa alle radio alternative. Altre volte il concerto filava liscio, ma il posto previsto per dormire, di solito casa di qualcuno del giro, diventava improvvisamente indisponibile. Passavamo la notte ovunque capitasse: stazione dei treni, palchi dei locali, garage o, più spesso, in viaggio. Il rimborso per le spese per il gruppo diventava a volte un’utopia”.

E, in partenza da Torino:

“Sembravamo un miscuglio tra una ghenga di studenti sballati in gita scolastica e una pattuglia di profughi lasciati indietro dalla colonna principale. Gente in marcia verso un Paese di cui a stento sa pronunciare il nome”.

E nonostante i tour in giro per il mondo stupisce leggere (degli Indigesti) che:

“Chiudemmo la nostra storia con un’ottantina di concerti all’attivo, tra i quali tre a Berlino, tre ad Amsterdam, due a Chicago e nessuno a Torino, la mia città”.

I ragazzi del Mucchio non è solo un romanzo “musicale” o un puro romanzo “generazionale”: è soprattutto un romanzo sulla forza e sulle debolezze dell’amicizia. Nel pieno della loro avventura i giovani protagonisti sembrano condividere tutto, ma ciascuno è atteso da un futuro diverso, a volte scelto a volte subito.

E forse il senso di tutto è racchiuso in questa considerazione finale dell’autore:

“Ho il sospetto che le esperienze del Mucchio, dei gruppi in cui ho suonato e dell’hard core italiano mi abbiano donato, tra le altre cose, anche uno scarto di sensibilità, un moltiplicatore d’emozioni. Qualcosa che mi rende più triste quando sono triste e più felice quando sono felice. A volte mi fa sentire un veterano che ha combattuto in un Paese lontano una guerra che oggi nessuno ricorda più. Altre volte mi fa pensare di essere uno che s’è preso tutto ciò che c’era da prendere in anni in cui l’espressione gruppo indipendente era ancora da inventare”.

 

Elisa Russo, DDD all’interno di In Orbita, Radio Capodistria 12 Marzo 2012

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