Ddd nella sua manifestazione migliore, per la puntata 110: sono più buona quando mi limito a darvi dei consigli per le letture. Oggi vi segnalo un volume breve ma ben fatto (direi un instant-book se avessi idea di cosa diavolo è un instant-book): “Gil Scott-Heron The Bluesologist – Storia e discografia del padre del rap” (Volo Libero Ed).
L’autore è Antonio “Tony Face” Bacciocchi, batterista (Not Moving, Lilith, Link Quartet tra gli altri), produttore discografico (Statuto, Vallanzaska), scrittore, blogger, organizzatore di concerti e festival, Dj radiofonico, giornalista musicale, prime mover del movimento mod in Italia. Ha aperto concerti di Clash, Johnny Thunders, Stooges, Siouxsie, James Taylor Quartet, Manu Chao, Brian Auger tra gli altri. Ha scritto "Uscito vivo dagli anni ’80" (NdA Press, 2007), "Mod Generations" (NdA Press 2009), "Le storie dal rock piacentino" (GL 2011) e tradotto "Neville Staple, The Original Rude Boy" (Shake 2011). Insomma, per farla breve: ne sa.
Gil Scott Heron ci ha lasciati di recente, nel maggio 2011. È stato poeta, musicista, cantante, autore, scrittore, cantore dell'America del Vietnam, dei diritti negati ai neri e delle loro lotte, ma anche dei meandri più oscuri e maledetti dell'animo umano, quello minato da disperazione, povertà, alcolismo, droga, emarginazione. Lo ha sempre saputo fare con estrema lucidità, linguaggio crudo ma sempre ironico e pungente, accompagnato da una miscela musicale originale e personale che ha saputo pescare dalle radici della black music, rinnovandola e modernizzandola, rimettendosi costantemente in gioco, contro ogni ostacolo, anche quelli più alti. Lascia un insegnamento preziosissimo e ancora attualissimo.
«Gil sa essere Malcolm X e James Brown, Curtis Mayfield e Walt Whitman, tragico e ironico, divertente e implacabile. Sa accostare stupende ballate a pungenti e devastanti inni politici», scrive l’autore.
«C’è anche una grande empatia. Gil scrive sullo stato del mondo, ma anche di comunità, famiglia e della condizione dei singoli. E non è mai sceso a compromessi. Questa è forse una grande parte del motivo per cui la sua musica non ha mai veramente avuto il successo meritato. Quello che stava dicendo era troppo crudo, troppo veritiero».
Gil non stava di certo sul sofà di casa a pontificare. È uno che ha vissuto, senza risparmiarsi anche le esperienze più aberranti, dalla droga al carcere. Pensa che, per non farsi mancar nulla, nel 1993 aveva dormito all’aperto vicino alla stazione della metro, con tanto di cappello per l’elemosina. Motivando così il gesto: «Come puoi parlare di un homeless in una canzone se non hai vissuto almeno una volta da homeless?».
Eppure è stato anche frainteso, come succede spesso ai grandi.
E io ne so qualcosa!
Solo che lui non si abbatteva.
Disse:
«Una frase non muore quando qualcuno la interpreta in malo modo. Lei si siede e aspetta la prossima persona che ne sappia cogliere il significato corretto. Per tanti che la capiscono nel giusto modo, altrettanti la prendono per il verso sbagliato».
E ancora, sul suo presunto brutto carattere (e io ne so qualcosa!).
«Se non fossi stato l’eccentrico, l’odioso, l’arrogante, l’aggressivo, l’introspettivo, l’egoista quale sono stato, non sarei stato io. Non mi pento di aver fatto quello che ho fatto o del modo in cui l’ho fatto. So che se fossi stato zitto su un paio di cose probabilmente avrei potuto fare un po’ di soldi, ma non avrebbe dato più senso a quello che ho fatto. E non sarei stato capace di dire ai miei figli: ho alzato la testa per questo. Hai avuto una possibilità: alzarti in piedi o startene seduto. E non sono restato seduto. Vuol dire che ho avuto ragione».
Su la testa.
Su la testa.
Che ho ragione.
Anche nel torto, io ho ragione.
Elisa Russo, DDD all’interno di In Orbita, Radio Capodistria 26 Marzo 2012