«È colpa sua se io sono quello che sono» l’avrà detto Ricky Russo riferendosi a sua sorella o James Hetfield dei Metallica riferendosi a Tony Iommi?
Mentre voi vi macerate nel dubbio, io per darvi un indizio vi presento il libro uscito da poco per Arcana “Tony Iommi, Iron Man – Il mio viaggio tra Paradiso e Inferno con i Black Sabbath” (scritto con J.T.Lammers).
Negli ultimi anni di attività dei Beatles, mentre America e Inghilterra erano ancora impantanate nel folk e nel rock psichedelico, emerse un nuovo sound, il sound della classe operaia che aveva radici nel rock duro e nel blues pesante suonati nei pub di periferia. Quel sound, Heavy Metal, sarebbe cresciuto fino a diventare uno dei generi più importanti del rock’n’roll, e i Black Sabbath furono gli artefici della sua diffusione mondiale. È impossibile sottostimare l’impatto che ebbero i Black Sabbath e il loro motore principale: il chitarrista, autore e leader Tony Iommi. Tony non risparmia i dettagli della sua infanzia, dei matrimoni falliti, delle tragedie personali, dei compagni di band, della figlia ritrovata, con tutti gli alti e bassi della vita di un artista.
I racconti più avvincenti, chiamami sadica, per me sono sempre quelli degli esordi; delle difficoltà enormi affrontate da quelli che poi non sono diventati ricchi e famosi a caso. Ma si sono fatti un culo tanto!
Tony Iommi, deve il suo particolare stile chitarristico, in parte, ad una grave mutilazione: lavorava in fabbrica come saldatore quando ebbe un incidente alla pressa che gli tranciò la punta di due dita. Da allora fu costretto ad indossare dei ditali per suonare: “è un sistema primitivo, ma funziona. O smetti o continui a lottare. Bisogna lavorare un sacco (…). È così che ho sviluppato uno stile che si adatta alle mie limitazioni fisiche. Si tratta di uno stile non ortodosso, ma per me funziona”.
Ecco per dirti: già uno che reagisce in questa maniera dopo una mutilazione per me merita tutta la stima del mondo. In Italia ci sono musicisti che hanno attacchi di panico e vomito se un promoter li mette a dormire su un divano una notte. Tony Iommi si trancia le dita, si costruisce delle protesi che si attacca con la colla e diventa uno dei più grandi chitarristi al mondo, addirittura inventore di un genere. Fai un po’ tu!
«È necessaria molta determinazione, e fortunatamente non mi manca. Dipende dal modo in cui sono cresciuto. Mamma e papà non facevano altro che ripetermi: “Oh tu non combinerai mai niente di buono”.
E gli altri parenti si univano al coro: “Perché non ti trovi un buon lavoro come tuo cugino?”.
Da questo nasce la mia determinazione a realizzare qualcosa, nonostante tutti gli ostacoli che potevo incontrare, volevo dimostrare a loro che ero in grado di farlo. Come quando mi sono tagliato via le punte delle dita e mi dicevano che non avrei più potuto suonare. Non potevo accettarlo».
«Devo ammettere che faceva un male cane suonare la chitarra direttamente con le ossa delle dita recise, e ho dovuto reinventare il mio modo di suonare per attenuare il dolore. In questo modo, i Black Sabbath hanno cominciato a ottenere un sound che nessun’altra band aveva mai raggiunto prima, né dopo, a dirla tutta. Ma si può affermare che l’heavy metal è nato a causa delle mie dita? Bè mi sembra davvero esagerato. Dopotutto, c’è molto altro in questa storia».
Ci sono un bel po’ di aneddoti interessanti, come sempre esce un ritratto di Ozzy Osburne come un semi-ritardato che si fa la pipì addosso e si addormenta sul divano della sala di registrazione o nella camera d’albergo sbagliata. E poi un ricordo e un saluto ad un altro cantante storico dei Black Sabbath Ronnie James Dio, scomparso l’anno scorso.
E poi ci sono anche gli incontri con le creature non terrestri: spiriti, fantasmi ed angeli che Iommi avrebbe saltuariamente incontrato nella sua vita. Gli angeli racconta di averli visti fisicamente dopo un incidente in macchina, fresco di patente, in cui rimase vivo per miracolo. Tre angeli che lo salvano per una missione molto importante: inventare l’heavy metal! Secondo me ha senso.
Angeli che si mescolano ai demoni, ovviamente.
Tra gli incontri alieni, quello con Lemmy dei Motörhead.
«Lemmy probabilmente finirà per morire sul palco. Certamente non lo vedo sistemarsi in qualche casa di riposo per anziani. Saliva sul loro pullman del tour e ne scendeva il giorno dopo con indosso gli stessi vestiti, e anche sul palco, ecco a voi… I Motörhead vivevano veramente come zingari. Un episodio divertente che mi hanno raccontato a proposito di Lemmy: stava suonando e ha detto al tipo che si occupava del monitor di palco: “Non senti questo suono orribile che esce dai miei monitor?”
E quello ha risposto: “No”.
E Lemmy: “Neanche io. Alzami il volume!”»
Del riff di “Black Sabbath” dice:
”Soltanto in seguito ho capito che avevo usato quello che chiamavano ‘intervallo diabolico’, una progressione di accordi talmente cupa che nel Medio Evo era proibita dalla Chiesa. Non ne avevo idea; era qualcosa che mi ero sentito dentro. Era quasi come se fosse stato spinto fuori di me a forza”.
E se ti chiedi come sia nato un brano come “Paranoid” non farti troppe congetture, mancava un pezzo corto per riempire il disco:
”La durata dei nostri brani superava sempre i cinque minuti, quindi Paranoid era una specie di canzone usa e getta: ‘Servirà a riempire il buco’. Non avremmo mai pensato che sarebbe diventato il brano di maggior successo”.
Un ultimo insegnamento che il nostro ci dà, andare avanti per la propria strada che tanto non si possono accontentare tutti. Ad esempio, quando esce un disco nuovo ci sarà sempre chi dirà:
“È soltanto la continuazione di quello che avete fatto prima”.
“Be’, sì, la band è questa!”.
“Lo so, ma sembra una continuazione del vostro album precedente”.
“Sì, è così. È l’album successivo!”.
O se non lo è, allora dicono: “Oh, non sembra per niente l’ultimo album”.
“No, è un album differente!”.
Cosa dovremmo fare?
Un in bocca al lupo a Iommi a cui è stato diagnosticato il cancro all’inizio di quest’anno. La tempra ce l’ha e starà lottando sicuramente con tutte le sue forze. Con angeli e demoni al suo fianco.
DDD, In Orbita, Radio Capodistria 16 Aprile 2012