Interrogandomi sull’importanza dei testi in una canzone, mi sono letta due libri che in qualche modo potessero darmi qualche spunto di riflessione. Il primo è «Canzone per te – Appunti di musica leggera (1957-2007) di Ermanno Labianca con Sergio Bardotti» uscito per Arcana nel 2007. Un volo su cinquant’anni di musica leggera italiana. Un libro intervista, nato dall’incontro tra Labianca ed un grande paroliere (Bardotti che, per dire ha visto Lucio Battisti muovere i primi passi e prodotto De André).
Ne emergono dei ritratti inediti e profondi di molti grandi artisti.
Di Tenco si legge: «Era uno particolare. Una persona non facile ma di grande sensibilità, come tutti i non facili. Quando voleva essere simpatico era un mostro di simpatia, ma quando era antipatico era antipatico vero. Molto preso da se stesso, con un sacco di problemi tutti suoi. Si sentiva molto bello ma si giudicava molto sfigato, imprecava contro la sfortuna e tutto ciò che gli pesava e gli rovinava la vita. Gliela rendeva quanto meno inquieta. La cosa fantastica è che aveva una facoltà: le cose che ha scritto, nel giro di trenta giorni erano dei classici. Misteriosamente l’inquietudine si depurava; la forma, tanto musicale che di testo, era moderna e classica. Una mano di autore magnifica. Non ha scritto moltissimo, ma tutto quello che ha scritto è ancora utilizzabile. Scriveva classico: apri le cose dopo trent’anni e sembrano scritte l’altro ieri». Non per niente gli artisti di oggi spesso si cimentano con questi classici.
Su Morgan e co., l’autore scrive:
«È il bello e anche un po’ il limite di tutti questi ragazzi che cercano una loro strada. Hanno belle idee e ogni tanto trovano nel loro cilindro belle canzoni, hanno il pudore di ammettere il bello che li ha preceduti, così vanno a scovare quelle gemme che erano la passione dei loro genitori. Trovo brillante il loro lavoro di recupero, non solo delle singole canzoni ma anche di una certa atmosfera che si respirava quando loro sono nati o poco prima».
Belle anche le pagine dedicate a Sergio Endrigo, che per noi è un mito anche per le su origini (nato a Pola). «Sergio era un istriano dalla testa dura, uno spirito libero». Un giorno disse: «Non mi piacciono i dritti, i disonesti, i dilettanti presuntuosi e gli invadenti». Mi sembra un ottimo biglietto da visita. Anche Endrigo era uno che scriveva canzoni classiche, cosa che a volte può sembrare un problema, ma alla fine dei conti non lo è. Franco Battiato: «Endrigo non si è mai fatto coinvolgere dal rumore stupido del successo. Tutti i grandi compositori, da Mozart a Beethoven, hanno vissuto lo stesso disadattamento in certi periodi della vita, quando il proprio linguaggio non coincide apparentemente con il tempo che ci si ritrova a vivere».
Viene poi confermata la storia di Patty Pravo che non voleva cantare La Bambola:
«Non la voleva neanche sentir nominare (…) “Che cazzo volete farmi cantare, una canzone in cui perdo?”.
All’epoca Patty non era quel pezzo lì. Anzi, era forse il primo esempio di donna che pubblicamente diceva “la do a chi mi pare”. Non sono io la vittima, ma l’uomo. Per questo La Bambola non le sembrava nelle sue corde. Noi eravamo certi che quel contrasto sarebbe stato vincente. Lo fu».
D’altra parte Venditti non volle cantare «Roma Roma Roma, t’ha dipinta Dio»: “A rega’, faccio centocinquanta feste dell’Unità all’anno… Cercate de capi”. Così prese la penna e diventò “t’ho dipinta io”.
E gli italiani all’estero?
«Sei sempre come gli attori che vanno a Hollywood e devono recitare in inglese. Per ben che vada, ai nostri affidano ruoli da italo-americani. Ci caratterizzano. Nella musica funziona allo stesso modo. Per quanto tu possa impegnarti non sei mai uno di loro».
DDD, In Orbita, Radio Capodistria 24 Aprile 2012