Premetto che sto scrivendo la rubrica nel mezzo del nero: piove e non si vede la luce da giorni. Altrochè Primavera.
E allora oggi voglio parlarvi di morti.
Che bella premessa eh?
Allegria allegria.
Poi scelgo questo argomento perché Ricky è in una fase di ipocondria (credo dovuta alla visione di Medical Dimension, la nuova fiction di Boris) ed è bene infierire in questi casi.
Parleremo di morti, ma
non di gente qualunque eh.
C’ho voglia di parlare di rockstar morte.
Vorrei dedicare una rubrica a Mia Zapata dei Gits che è una di quelle che mi mancano di più. Ma magari un’altra volta.
Partiamo da uno degli ultimi in ordine di tempo.
Mark Linkous degli Sparklehorse.
Morto suicida.
Ci aveva già provato nel 1996 ingerendo un mix di valium e antidepressivi.
E sai com’è: “non hai vinto ritenta”.
La prima cosa che mi viene da pensare, quando muore uno così, è che ci priverà della musica che avrebbe potuto continuare a regalarci.
Che pensiero egoista.
È che ho Fame.
Fame di musica, fame di vita, fame d’intensità.
“E ho fame d’amore e ti desidero” come dice il Teatro Degli Orrori.
Parentesi a tema:
Sto leggendo “Fame” di Knut Hamsun, e ho fame.
Che gran bel libro.
Mi ricorda il bellissimo “Martin Eden” di Jack London.
“A quel tempo ero affamato e andavo in giro per Christiania, quella strana città che nessuno lascia senza portarne i segni”: questo è l’incipit di Fame. Quando un libro comincia così, so già che mi piacerà.
Di cosa parla questo libro?
“I solitari tormenti e le tortuose riflessioni di un giovane scrittore errante nella vita urbana, accompagnato dalla sua inesorabile antagonista, la fame. Un romanzo che sta sulla soglia della grande letteratura del Novecento” si legge nelle note di copertina.
“Un capolavoro di naturalismo visionario, la versione moderna e tragica dell’idillio anarchico-romantico del perdigiorno”, scrive Claudio Magris.
Fame, scrittura, amore e Dio.
Questo libro ha tutto quello che mi serve in questo momento.
“Di che cosa soffrivo? Il buon Dio aveva forse puntato il dito contro di me? A ripensarci capivo sempre meno perché proprio io dovessi essere scelto a far da cavia per la grazia capricciosa di Dio. Certo che era un modo di procedere piuttosto strano: scavalcare tutto il mondo per acciuffare me”.
“Il pensiero di Dio riprese a tormentarmi. Pensavo che fosse ingiusto da parte sua mettermi i bastoni tra le ruote ogni volta che stavo cercando un posto, tanto più che non chiedevo nulla tranne il pane quotidiano. Ogni volta, dopo un periodo di fame piuttosto lungo, era come se il cervello mi scivolasse fuori dalla testa fino a lasciarla vuota: la sentivo diventare sempre più leggera tanto da non avere più peso sulle mie spalle, e i miei pensieri vagavano lontano. Mi pareva che i miei occhi si fissassero spalancati su tutti quelli che incontravo”.
Ma io dovevo parlare di rockstar morte, e fomentare l’ipocondria di RR.
L’altra notte sono andata in fissa con Layne Staley, mio mito assoluto. E ho ascoltato a ripetizione sia gli Alice in Chains che il bellissimo disco dei Mad Season. Sono sempre stata più una tipa da Layne Staley che da Jeff Buckley, ho pensato. Perché Jeff Buckley dicevano avesse una voce angelica, Layne Staley invece ti portava dritto dritto ad esplorare gli inferi.
“Incominciavo ad avere macchie nere dentro di me e muffe che si allargavano sempre più… E lassù nel cielo c’era Dio che mi guardava attentamente badando che la mia rovina avvenisse a regola d’arte, lenta ma sicura, a passo regolare. Laggiù in fondo invece, nell’abisso infernale, i diavoli malvagi sbuffavano dalla rabbia perché ci voleva tanto tempo prima di farmi cadere in peccato mortale, in un peccato imperdonabile per cui Dio nella sua giustizia dovesse spedirmi all’inferno…”.
Tratto ancora da Fame.
C’è da ricordare poi che qualche giorno fa è morto a New Orleans, Alex Chilton. Cantautore rock, chitarrista, produttore, artista-simbolo di un’epoca intera della musica americana come leader dei Big Star. Chilton, 59 anni, è stato ucciso da un infarto proprio a pochi giorni dalla partecipazione dei suoi Big Star al festival South By Southwest di Austin. Un pronto ricovero in ospedale dopo il malore non è valso a salvargli la vita. Alex Chilton, nato a Memphis, iniziò la sua storia di musicista giovanissimo, con il gruppo Box Tops negli anni ’60 prima di formare i Big Star un gruppo di culto, purtroppo poco fortunato dal punto di vista commerciale: il loro stile fondeva l’elettricità power pop con melodie alla Beatles e Beach Boys. Realizzarono tre soli album negli anni ’70, influenzando molti musicisti rock tra cui R.E.M. e Replacements (che intitolarono un loro brano “Alex Chilton”), e incidendo canzoni come “Thirteen” e “September Gurls”.
Negli anni, le canzoni dei Big Star sono state riprese da artisti come Beck, Wilco, Elliott Smith, R.E.M., Cheap Trick, Jeff Buckley, Garbage, Bat For Lashes e Whiskeytown. La band di Chilton tornò nei primi anni ’90 e incise un album nel 2005. L’anno scorso uscì un cofanetto retrospettivo. Alex Chilton sarà ricordato sempre per il suo incredibile gusto musicale, per le fusioni tra rock corposo e melodie.
Io vorrei essere ricordata per la mia fame atavica.

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