Parlo di: Serie Tv.
Ascolti: “Beth” dei Kiss e “Only Women bleed” di Alice Cooper.

In questa puntata tornerò a parlare di serie-tv, perché ci stanno sempre bene e perché riempiono il mio tempo piacevolmente come poco altro.
Oddio… Quasi sempre piacevolmente, perché poi si arriva al finale.
E per un motivo o per l’altro, dispiace.
Posso anche incassare il fatto che Ugly Betty si toglie l’apparecchio ortodontico ma ho qualche difficoltà in più a digerire l’ultima puntata di Lost. È evidente che gli sceneggiatori si sono incartati. Negli anni, hanno buttato dentro un sacco di misteri, simboli, numeri, richiami, salti nel tempo… loro li buttavano lì: “poi ci penseremo ben a come giocarcela”, dicevano. Noi pensavamo che i geni avessero un disegno, e conoscessero i segreti del mondo da loro creato. Invece, si stavano infognando con le loro stesse mani. Come quando accumuli debiti e non ti fai un paio di conti finché non vengono a pignorarti i mobili. Come quando cominci a raccontare bugie, e ogni volta ne tiri fuori una più grande per coprire la precedente, finché non perdi di vista la situazione, e non ne esci.
Ad un certo punto, muori schiacciato dal quinto funerale della nonna con il gatto che si è mangiato i compiti che poi tu tra l’altro eri dal dentista e dovevi comunque badare al fratellino minore e minorato che non hai mai avuto ma che comunque andava daccordissimo col tuo amico immaginario a cui la sveglia non suonava nell’ingorgo di traffico.

Avrebbero potuto fare un film sti sceneggiatori di Lost: un aereo precipita su un’isola, si schiantano e sono tutti morti, però per 90 minuti si illudono di non esserlo e fanno amicizia. Thò. Chiusa lì. E invece no: 6 anni di puntate, attese, congetture.
Avrebbero potuto fare come in un aforisma di Woody Allen: “Ho fatto un corso di lettura veloce. Ho letto Guerra e Pace in venti minuti. Parla della Russia”.
Loro potevano dire: “Ho fatto una serie tv in cui un aereo precipita su un’isola. Sono tutti morti”.
Ma vabé, non biasimiamoli più di tanto. Chiudere con stile è la cosa più difficile del mondo.

Invece, una serie che sto guardando in questo periodo (sono già alla sesta e ultima stagione) è L-Word. È una serie sull’amore saffico. Tutte le donne sono bellissime, appena si muovono incontrano altre donne bellissime e thò guarda caso, in automatico sono dell’orientamento sessuale giusto. Tutte lesbiche, sempre comunque e ovunque. Ce ne fosse mai una a cui per sbaglio piacciono gli uomini. Puà schifo! Uomo=brutto via! Anzi una c’è. È Pam Grier: è etero ma solo perché è un po’ sfiorita (leggi: 100 anni e 100 Kg); se fosse stata la Pam Grier con la forma fisica degli anni 70 scommetto che gli sceneggiatori l’avrebbero buttata nel pentolone delle altre. Ma non è sul contenuto che mi volevo soffermare (o su come queste tipe facciano vacillare la mia eterosessulità). Dr House in una puntata fa una battuta su L-Word (meta letteratura!), dice di guardarlo senz’audio. Ma si sbaglia. Perché non ci sono solo i dialoghi improbabili. Ai fini della rubrica, devo dire che L-Word è zeppa di bella musica. Emiliana Torrini, A Place to Bury Strangers, The Gossip, Feist, Marvin Gaye, The Cure, Moby, Lili Allen, Roxy Music… Insomma c’è davvero di tutto, in una puntata c’è direttamente la cara Peaches che fa un concerto con i suoi bei completini rosa shocking e i peli sotto le ascelle. Ogni tanto mi capita di sentire qualche pezzo che mi riporta indietro di non so quanti mila anni. Allora blocco la puntata delle bellone saffiche e mi tuffo in rispolveri di dischi. “Walk On By” di Dionne Warwick, ad esempio.
Oppure, l’altra sera, in una puntata della quinta serie è partita “Only Women Bleed” di Alice Cooper e mi ha proprio smosso qualcosa dentro. Mi sono venuti i flashback come a Jack nell’ultima puntata di Lost. È una ballatona dal suo concept “Welcome to my nightmare”, del 1975. Una di quelle canzoni che mi sono entrate nel dna quando ero davvero davvero piccina (tipo 10 anni, che poi non ero tanto diversa da adesso. Sicuramente non ero più alta). All’epoca non sapevo l’inglese, ma la cosa allucinante è che oggi, leggendo quei testi mi rendo conto che li capivo benissimo. Il mood di una canzone, ti arriva aldilà delle barriere linguistiche. Mi è venuta in mente un’altra canzone che mi piaceva tanto da bambina. “Beth” dei Kiss. Altra super ballata. Al mio decimo compleanno avevo ben istruito i miei amichetti sul regalo da portarmi. Volevo solo dischi dei Kiss. E così feci incetta di vinili, in cambio di una fetta di torta. Non sapevo l’inglese, ma capivo benissimo cosa succedeva a Beth. La poverina, se ne stava a casa ad aspettare il suo uomo, ma questo era a prove con i ragazzacci della sua band. E non riuscivano proprio a trovare il sound, e ci avrebbero provato allnightlong. Seeeeeeeeee il sound. Dicono tutti così. Povera Beth.

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