Non vorrei volare troppo alto o farla fuori dal vaso, ma vale la pena correre il rischio e sto giro nella mia rubrica «Deliri Desideri e Distorsioni» vi parlo di Pasolini. E in particolare di «Pasolini prossimo nostro»: filmati d’archivio, foto di scena e un’inedita intervista per un documentario su uno dei film più contestati, amati e discussi del secolo scorso. C’è un solo termine – macabro – per definire Salò o le 120 giornate di Sodoma, terminato nel 1975 e ancora in fase di montaggio quando Pasolini fu assassinato all’Idroscalo.
Ispirato al romanzo di Sade e ambientato nella cittadina protagonista dell’ultimo scampolo di guerra mondiale, la Salò di Pasolini è un mondo devastato dall’omologazione culturale, dai soprusi anarchici del potere, un ritratto cinico di partigiani inermi e giovani illibate costrette a ogni sorta di barbarie dai loro aguzzini (non a caso un banchiere, un duca, un vescovo, un presidente di tribunale). L’intervista raccolta da Giuseppe Bertolucci integra le tematiche del film unendole al pensiero del suo autore. La fine delle ideologie o la loro trasformazione, diventano il terreno di guerra su cui scontrarsi. Uno specchio della nostra società filtrato dall’espressione artistica di un intellettuale punito dal suo stesso (pre)vedere…
Ci sono film più esplicitamente brutali, mi viene da pensare al «Cinema della Trasgressione» di Richard Kern con le spintissime performance di Lydia Lunch, eppure «Salò» ti mette sottosopra le budella in maniera molto più forte e sottile.
Il film è una metafora di ciò che il potere fa del corpo umano: la mercificazione del corpo, la riduzione del corpo umano a cosa, tipica di qualsiasi potere.
A chi si rivolge Pasolini?

“Non posso produrre stivali per un zoppo”, dice.
“Credo che i giovani non capiranno,
i giovani vivono nuovi valori, io parlo di vecchi valori, per loro incommensurabili”.
Eppure i giovani li ama, e molto.
Chi non ama i contadini non vede la loro tragedia,
lo stesso vale per i giovani.
“Tutta la mia opera è una dichiarazione d’amore;
mi vengono le lacrime quando vedo il figlio di Ninetto (Davoli), che ha un anno: lacrime di pietà per il suo futuro”.
I padri non possono più insegnare niente ai figli, non hanno voce in capitolo perché non conoscono la realtà dei figli: loro avevano il problema del pane, i figli il problema della motocicletta (e oggi diremmo del cellulare, della playstation etc). Il terzo mondo ha conservato una cultura precedente, preistorica; la tecnologia farà del mondo qualcosa di diverso, è questa l’apocalisse.

Nelle società tolleranti il sesso è necrotizzante, la
libertà è concessa dall’alto,
non conquistata dal basso.
Le società permissive permettono qualcosa e si può fare solo quel qualcosa. La stessa ostentazione dei sentimenti, il camminare mano nella mano delle giovani coppie, per Pasolini non è segno di un’esplosione di romanticismo. È solo espressione della
coppia consumista che tenendosi per mano va a comprare, all’upim e alla Rinascente: poiché gli italiani sono nevrotici.

È anche un film sull’anarchia del potere: il potere fa ciò che vuole.
L’uomo è sempre stato conformista, si conforma a ciò che ha intorno, ha chinato la testa una volta per sempre.
L’autore ha abbandonato la lingua italiana del letterato per usare il linguaggio del cinema: un regista esprime la realtà con la realtà, il film si basa su un linguaggio irrazionale e su un’immagine onirica. Sogni e memoria sono piccoli film.
Vedere un film è come sognare.
L’artista è una contestazione vivente.
Deve essere coerente con le proprie idee
Può credere ma anche non credere, basta che sia dinamico.

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