Una vita costellata di tragedie:
il papà Hugh Everett III autore della Teoria dei Molti Mondi: un fisico meccanico quantistico considerato universalmente un genio quando ormai era troppo tardi. Da ragazzino, aveva avuto un carteggio con Einstein. Con i figli il suo metodo pedagogico fu: «buttati: nuota o annega».
Muore d’infarto, poco dopo la cinquantina ed è proprio Mark a trovarlo cadavere.
La sorella Liz, a cui Mark era molto legato, muore suicida.
La mamma, poco dopo di tumore.
Addirittura la cugina hostess, assieme al marito lavorava sull’aereo schiantatosi sul Pentagono l’11 settembre 2001.
«Ho vissuto momenti molto brutti e momenti molto belli, ma le cose potevano anche andarmi peggio, considerato che non avevo né una mappa con le direzioni né un briciolo di autostima. Insomma, quel genere di strumenti necessari per cavartela al mondo (…) Non vado matto per le tragedie. Per me, sono soltanto giorni come tanti altri».
Ma poi c’è la musica a salvarlo.
«La vita è imprevedibile bellezza e strane sorprese.
A volte la bellezza è troppa e non riesco a gestirla.
La conoscete quella sensazione?
Quando c’è troppa bellezza?
Quando qualcuno dice o scrive o suona qualcosa che vi commuove fino alle lacrime?
Fino a farvi cambiare».
«Così cominciò lo strano universo parallelo della mia esistenza: nasconditi dentro te stesso nella vita reale, altrimenti riceverai solo offese e umiliazioni, ma sali sul palco ed esibisciti con passione e sentimento».
«John Lennon ed Elvis Presley mi piacciono un sacco perché erano uomini insicuri. E per me è proprio quell’insicurezza a renderli artisti del tutto umani. Potevano anche cantare da dio, ma ti lasciavano sempre l’impressione di essere reali, umani. Mettete su un qualsiasi disco di Elvis, persino uno dei peggiori. Anzi, soprattutto uno di quelli peggiori, e sentirete la vulnerabilità trasudare dai solchi del disco».
«Bob Dylan ha detto che da giovane, in cuor suo, sapeva quale sarebbe stato il suo destino. Anche a me sarebbe piaciuto saperlo, ma non è andata così. Proprio per niente. Sapevo soltanto che ero disperato, disperato di brutto, e che ero completamente privo di direzioni: una combinazione tremenda. Non avevo la minima idea di cosa diavolo stessi facendo, e lo facevo soltanto perché non sapevo che altro fare. La musica era la mia passione, e quella passione diventava sempre più forte».