Fraccobello, fiero veg chic chef, arriva da Milano a Trieste con un ambizioso progetto: l’apertura de “La Zucheta”, nel cuore di quella che gli avevano definito “la movida de via Torino”. Non aveva dubbi, il suo ristorante sarebbe decollato e tutti sarebbero impazziti per le eclettiche rivisitazioni dei piatti tipici triestini in chiave vegana: i civasoia, la porzseitan, el tofu in savòr, i germogli a la busara, el strucolo de alghe, el gulash de quinoa, la calandraca de topinambur, la putiza de avocado, le creme carsoline al latte de riso…
Aveva scelto il capoluogo giuliano perché amava le sfide. Quando ci era venuto per le riprese del programma tv “Master Pignatta”, alla richiesta di un secondo vegetariano in un agriturismo sul Carso, la cameriera serissima gli aveva risposto: «Posso farghe la lubianska senza prosciutto, cossa la disi?». «Fantastico – aveva pensato, rapito come quando si guarda un documentario sul dugongo e il leone marino – questa donna è convinta che la carne impanata, con la semplice sottrazione della fettina di cotto, diventi veg». Nel buffet del centro da Beppo Saimagnavo, non era andata meglio: «Mah, per quei come voi qua gavemo solo olive. Ah, forsi anche un do pistaci». Si era sentito un po’ Elijah Wood nella scena – esilarante – della patata bollita nel film (tratto dal libro) “Ogni cosa è illuminata”, quando Eugene Hütz dice «Il mio amico qui è americano. Non mangia carne» e la severa oste ucraina lo apostrofa: «E cos’ha che non gli funziona?». Allora, proprio come lo scrittore Safran Foer, aveva avuto pure lui un’illuminazione: avrebbe portato la cucina e la cultura veg nella città della scontrosa grazia, in quel dedalo di “no se pol”, “no tignimo, la provi in Friul”, “volentieri”.
Sarebbe stato faticoso, quasi ai livelli di quando aveva partecipato al reality “Duri e puri” e stava per menare il conduttore con le dita inanellate de “La Caciara” che cercava la rissa definendolo “fasciovegano” e “buonista verduraio”. Aveva tenuto testa a quello sbruffone e a tanti altri, tra tutti il suo acerrimo nemico, lo chef Cavaturaccioli, autore del bestseller “Se non c’è sangue non c’è gusto – ricette per carnivori e maschi alfa”.
Durante la trasmissione televisiva in cui gli chef stellati del loro clan umiliavano giovani imbranati col mestolo, Fraccobello aveva conosciuto la fashion blogger e Instagram influencer Selvaggia Sparagni ed erano diventati la coppia più invidiata del web (del mondo reale, non si sa). Stare assieme era un impegno non da poco: tutto andava documentato costantemente con selfie, video, Instagram stories… non è che potevi girare per casa con la maglietta sbiadita del concerto del ‘90 dei Metal Desperados, o permetterti la foglietta di rucola tra i denti dopo mangiato, un caffè in una tazza sbeccata, una sbadata grattata dove non batte il sole. Dovevi essere impeccabile, un totem di stile, perché sennò, si sa, il popolo del web ti crocifigge. Che tanto ti massacra comunque, figuriamoci se gli presti il fianco.
Loro due assieme sarebbero potuti diventare più influenti di Beyoncé e Jay-Z; ma all’inaugurazione de “La Zucheta” la Sparagni già non c’era, e i gossip sul suo nuovo flirt con il rapper BubeZ sembravano sempre più fondati. La festa era stata sfarzosa e piena di ragazzotte agghindate stile Lady Gaga nell’intervallo del SuperBowl, Fraccobello – dopo essersi consolato con Balòn Rodriguez – era stato visto al fianco di Jolanda Galanda, avvenente conduttrice di “Femose i affari tui” su Tv Cocàl. Superstar dj si erano alternati alla consolle: Tumbaland, Elvic The Presniz, Tina Cella, Miguel Seleka, Sto’nerd e poi la musica dal vivo dei Palacinkas, El Prasec, Fidonis & The Spanky, The Barcòla Guy, John Talòn; tra i vip anche le stelle delle serie e film che si giravano in città in quei giorni, da Lino Cuscino della “Onta Grossa” al regista premio Oscar Pregatores, alle prese con il nuovo capitolo de “El Mulo Inguantabile” e perfino intellettuali come Grassis, Heinekren, Torvacich, Elgafredo e tutta la ciurma del Morbìn Kabaret. Una serata perfetta, tra piatti che parevano un quadro dell’Arcimboldo, in un locale arredato con gusto, alle pareti le gigantografie di celebri vegetariani da Paul McCartney a Moby, da Natalie Portman a Leonardo Da Vinci e sì – xe sempre el furbon de turno che ghigna: “eh ma anche Hitler iera vegetarian”, ma no – la sua gigantografia no iera, – ma te par? (e comunque no iera gnanche quela de Red Ronnie e Red Canzian).
Un successo, eppure qualcosa nell’aria faceva già presagire macabri sviluppi. A pochi metri da “La Zucheta”, infatti, aveva aperto da poco anche “El Bacolo” il nuovo ristorante di Cavana in cui si potevano degustare gli insetti. Il titolare, Furio Moschin, che emanava un’aura degna de “La Metamorfosi” di Kafka, si era schierato subito contro il vicino veg e aveva lanciato un’invasiva campagna pubblicitaria per spingere il suo menù a base di lombrichi e radicio, cagoie alla piastra, minestra de cavallette e bobici, formigole in tecia, ragni in salamoia, per finire col dessert, l’invitante budin de bacoli. Per funestare l’inaugurazione de “La Zucheta”, il perfido Moschin aveva liberato alcuni esemplari del suo menù proprio davanti al veg ristorante: «Ciò ma cossa xe l’ottava piaga d’Egitto?» aveva sbottato la showgirl Rita Etrusco all’arrivo di un minaccioso sciame.
A un mese dall’apertura Fraccobello si sentiva circondato da nemici, spaesato come un habitué del Pedocin che si trovasse di colpo senza il muro divisorio, fuori posto come un capo in B servito in una chicchera di terracotta, solo come un civa senza ajvar e zivola.
Ma una fine così, non se l’aspettava.
In fondo era sopravvissuto a un reality, a una fidanzata influencer, a un’intervista notturna di Marzullo e a un’ospitata dalla D’Urso.
[Povero Fraccobello].
Ironia della sorte, lo trovarono nel suo living con un pugnale conficcato nel cuore. A prima vista sembrava vetro di drago di Valyria Rosandra, ma a ben guardare si trattava di un’arma più diabolica: una radice di cren di ragguardevoli dimensioni fatta indurire come diamante e intagliata. Oltre al petto trafitto, quasi per sfregio, allo sventurato avevano riempito la bocca di bacche di goji.
Chi aveva infierito su quell’uomo così attraente, che sembrava Kit Harington – il Jon Snow di “Game of Thrones”, con i riccioli e lo sguardo di ghiaccio, un professionista di fama mondiale, con tutta la vita davanti e di certo non attanagliato dai demoni oscuri di un Anthony Bourdain? Era ambizioso e combattivo Fraccobello, sembrava che nulla potesse impedirgli un’ascesa inarrestabile.
E invece.
Guardalo: è così bello, anche da morto… quasi ti aspetti che anche lui esattamente come Jon Snow… ok, ok non facciamo spoiler (ma tu, animo! mettiti in pari con la serie no?).
Intervallo
Trieste piena de mar, piange lo chef sfortunato con i versi de “Serbitoli” de Toni Bruna:
«Vardilo là liso e bianco come el fior del codogno
Vardilo là coi cavei e le man de marmo
Ma lo stesso i xe entrai a spacar tuto
Coi denti e le onge del gato
Co le scarpe de tera sul coprileto
I se ga portà via le ultime ore del giorno
I se ga portà via quel poco de ciaro de inverno
Quel ultimo toco de pan che restava in tel forno
Un fogo de foie un star ziti a vardarse una note de giugno».
I Russos sta ciapando tempo col stacchetto musicale? Ma insoma chi lo ga copà sto mato? Volemo saver!
Secondo Tempo
A condurre le indagini, il commissario Jovanka detta “La Marantiga de l’altipian”, una vaga somiglianza con Laura Dern in “Twin Peaks – il ritorno”.
Il titolare de “El Bacolo” aveva un alibi di ferro: il giorno dell’omicidio era partito per un corso di aggiornamento in Cina “come cucinale insetto e fale soldi e foltuna senza intossicale cliente” seguito dal secondo modulo (avanzato) “se ploplio tu avele intossicato cliente, io spiegale te metodo pel non falsi poltale via villa con piscina e fuolistlada”. Verificato anche l’alibi del rapper BubeZ: quella notte si stava facendo tatuare gli ultimi centimetri di pelle rimasti non inchiostrati (sul mignolo del piede). La Sparagni era rimasta ininterrottamente in diretta Facebook per un tutorial in cui spiegava l’importanza di abbinare il colore dello smalto delle unghie agli accessori del proprio carlino. Lo chef rivale Cavaturaccioli aveva ammazzato a mani nude un cinghiale ed era stato poi impegnato a depezzarlo e cuocerlo 12 ore in arrosto con patate (tutto documentato da una web tv).
La polizia postale aveva setacciato i tanti insulti ricevuti nei giorni precedenti dalla vittima sui social:
«Tu mare grega ciò, torna da quei pirloni intela nebbia e lassa star i civa, mona de pimpinela».
«Va in Furlania a meterghe le luganighe de soia vizin al frico e po’ vedemo».
«Ho letto un articolo in cui spiegano che voi aguzzini vegetariani inquinate più di noi carnivori, ciò è dovuto al meteorismo intestinale provocato nelle mucche dalle piantagioni di soia il cui spazio voi sottraete contribuendo al riscaldamento globale, i cerchi nel grano e le scie chimiche (…continua per 500 righe nonsense ndr)».
«Gion Snou torna a Grande Inverno, bastardo». (Anche questo utente non era in pari con le stagioni de “Il Trono di Spade”, evidentemente).
Tra le tante, la preoccupante minaccia di un hater di professione, TiraPupoli 666: «So dove che te abiti. Vegàn, te sarà morto domàn».
Il soggetto passava le giornate a commentare la qualunque con frasi piene di astio: i figli dei non vaccinati? Peste bubbonica! Writers che “lordano” i muri? Amputare le mani! Padroni dei cani? Devono ingerire gli escrementi delle bestiole! “Portoghesi” in bus? Lavori forzati in Siberia! No te fa la differenziata de le scovaze? A viver in una discarica! Te fa una clanfa ai Topolini? Ligado a testa in zo all’Ursus!
Portato in questura aveva subito confessato: “Son sta mi, go mazà el cogo rizeto erbivoro. Ah no po’ ciò!”.
La Marantiga era uscita dalla stanza dell’interrogatorio sentenziando: «’ndemo avanti dèi, sto mitomane no xe bon de copar gnanche un mussato che ghe sta ciuciando el sangue».
E infatti, dietro alla violenza verbale di TiraPupoli 666 si celava la frustrazione del leone da tastiera “solo ciacole e niente fritole”.
Le indagini non portano a nulla, i mesi passano.
Via Torino, dopo essersi tinta di nero, perde il suo appeal. Il cuore della movida triestina diventa Servola, con la vista futuristica della Ferriera.
Fraccobello viene quasi dimenticato.
Solo la Sciarelli, ogni mercoledì su Rai 3, si occupa tenacemente del caso a “Chi l’ha visto?”: il mistero dello chef è tra i più avvincenti assieme alle vicende di Pierino l’accumulatore, Gigino wi-fi e lo zoppo di Pompei.
Intanto, al ristorante “Al Sardon impanà”, il cuoco Lucky Pascione continua a preparare con passione i suoi piatti. Ma da qualche mese i colleghi stentano a riconoscerlo: el morbìn del John Belushi della cucina triestina sembra evaporato. Finché un giorno decide di liberarsi la coscienza: «Vojo parlar co La Marantiga». Davanti alla Laura Dern dell’altipiano carsico, Pascione scoppia in lacrime: «Devo cavarme sto peso. Son sta mi. Ma no volevo coparlo! Volevo solo farghe assaggiar la jota co le crodighe, lui no ga volù e la situazion xe degenerada». Il robusto cuoco triestino racconta di quanto con i suoi colleghi si fosse indignato per quel milanese fighetto arrivato in città per stravolgere i piatti tipici della nostra tradizione: «Ciamile bale de soia, mangìme de frumento, erba selvadiga fritta, ma no te pol usurpar i nomi sacri dei civa o della porzina». Aveva deciso di confrontarsi con Fraccobello, si era presentato con delle pietanze da lui preparate per convincerlo della superiorità dei sapori della carne e del pesce. Ma quello non aveva sentito ragioni: «Se ne vada, con quei cadaverini di animali. Assassino!» gli aveva urlato. Allora Pascione, pur essendo bon come el pan de Basovizza, non c’aveva visto più: gli aveva riempito la bocca con quelle bacche rosse “volevo solo farlo star zito!”. La Marantiga lo incalza: “Sì ma perché infilzarlo col pugnal de cren?”. Pascione: “Ma che pugnal?”.
Un anno dopo: Lucky Pascione sta cucinando nella mensa del carcere. Ci va una volta al mese da volontario. A mangiare le sue leccornie, anche il vero killer del veg milanese: Cianeto El Trapoler, un disgrazià, sicario precario de Borgo a cui la lobby degli chef chic (che resterà impunita e continuerà a sfornare bestseller e reality tv più che manicaretti), aveva messo in mano il pugnale di cren affilato come vetro di drago, comprandone il silenzio. L’ergastolano mastica una nuova ricetta di Pascione, “polpetta de verdure alla Fraccobello” e sentenzia: “sti cuochi xe tutti mona e i me ga inguaià a vita, ma sta bala de verdure no xe gnente mal”.
Nota: nessun animal – e gnanche nessuna verdura – xe sta maltrattà per scriver sto racconto, frutto de pura immaginazion. I protagonisti xe tutti stuntman professionisti – no ste provar a rifar le scene raccontade dai Russos a casa vostra. I autori rispetta ogni scelta alimentare, purché fatta con serenità e rispetto del prossimo.
The Russos, Il Piccolo 11 Agosto 2018