«L’uomo è progettato per volare, non deve soffocare i propri desideri. Viviamo in un momento storico in cui siamo bombardati dalle immagini. Con questo disco chiedo a chi ascolta di produrle invece di subirle, tornando a essere protagonisti della propria immaginazione». “Don’t forget to fly” è il sesto album in studio per Remo Anzovino. Il compositore, pianista, performer e avvocato penalista pordenonese presenterà il nuovo lavoro anche in regione: il 17 maggio alle 21 al Centro Culturale di San Quirino e il 19 alle 19.30 al Cinema Visionario di Udine. «Suono dei pezzi dal vivo, chiacchieriamo, firmo i dischi. Le concepisco come due feste – spiega Anzovino – in due luoghi straordinari, a San Quirino ho lo studio musicale, la mia musica la scrivo da sempre in questo piccolo comune di Pordenone e Udine è una seconda casa, il Visionario in particolare; da quando feci il concerto in Piazza San Giacomo nel 2015 ho un legame fortissimo con gli udinesi».
Sono passati sei anni dal precedente “Nocturne”; nel frattempo è stato attivissimo, vincendo anche un Nastro D’argento nel 2019.
«Ho pubblicato ben 13 album di colonne sonore per il cinema, ad autunno uscirà quella per il film “Borromini e Bernini. Sfida alla perfezione”».
Scrivere per sé o per il cinema: quali differenze?
«È sempre diverso fare un disco proprio rispetto a seguire una narrazione per il teatro, il cinema, una serie tv. È una grammatica differente: su commissione devi riuscire a capire che suono dare, facendoti tirare fuori dalla storia delle emozioni che hai dentro te, quando scrivi un disco tuo invece sei tu, è il tuo film, sei lo sceneggiatore, il regista, e nel mio caso anche interprete unico. È un altro viaggio».
Un piano solo che suona come un’orchestra?
«Le immagini che mi ero inventato erano talmente potenti che mi consentivano di realizzare un disco completamente in solo traducendo in suono il sogno di volare, facendo diventare la mia scatola magica, il piano, un’orchestra. È un atto di amore nei confronti dello strumento che suono ogni giorno da quando avevo nove anni. Non c’è nessun overdub, eppure sembra ci sia tutto, il groove, l’energia, la visionarietà, la percussione, i suoni sospesi».
Chi ha contribuito?
«Il disco è stato registrato, mixato e masterizzato dal grande fonico Stefano Amerio al Teatro di Fiesole, luogo scelto non solo per la sua acustica straordinaria ma anche perché in quegli stessi luoghi – narra la leggenda – Leonardo Da Vinci ha effettuato le sue prove di volo, incarnando egli stesso la “seconda vita di Icaro”».
Quando è nata l’idea di “Don’t forget to fly”?
«Scrissi questa frase su uno dei miei quaderni verso la fine della pandemia. Avevo lavorato tanto su commissione ma mi ero dato una regola: non avrei scritto un mio disco nella pandemia. Lo volevo ambientare nel dopo. Non volevo metterci una goccia di malinconia o di dolore, perché la realtà ne è già abbastanza carica, c’è bisogno di aria, di luce. Attorno a me ho visto un mondo più incerto, gli esseri umani mi sembravano degli strani volatili con le ali reclinate, cioè con degli orizzonti molto più stretti. E io penso che l’uomo sia stato progettato per volare».
Si tratta di un concept album sul volo?
«Molto più di un concept. Una suite per pianoforte in 12 movimenti che diventano ancora più potenti se ascoltati in sequenza, sono conseguenza uno dell’altro. Ho ideato un soggetto come se dovessi scrivere un film. Tutto quello che si sente avviene dentro a un sogno, dal primo all’ultimo suono».
Elisa Russo, Il Messaggero Veneto 13 Maggio 2023
