RHABDOMANTIC ORCHESTRA TEATRO MIELA 15.04.23

«Ciò che mi interessa esplorare con Rhabdomantic Orchestra sono le possibilità evocative e narrative dell’arrangiamento, raggiungere una sorta di realismo magico in cui il potere immaginifico della musica possa bastare a sé stesso»: il compositore e polistrumentista Manuel Volpe racconta il suo progetto musicale dal sapore internazionale, un mix unico di differenti linguaggi dove afrobeat, spiritual jazz, salsa, krautrock e derive psichedeliche sono solo alcuni degli ingredienti utilizzati con lo scopo di restituire una visione molto cinematografica della world music. «Saremo per la prima volta in assoluto a Trieste – prosegue Volpe, al Teatro Miela con la Rhabdomantic Orchestra sabato alle 21.30 –. Della regione conosco diversi musicisti, per esempio sto producendo il nuovo disco del friulano Massimo Silverio».

Quanti sarete sul palco?

«Al Miela dovremmo essere in nove, ma non escludiamo il decimo. È tutta questione di spazio in furgone. Portiamo il live partito la scorsa estate con l’uscita del secondo disco “Almagre”, che siamo riusciti ad affinare sempre di più. Ci sono tutti i musicisti che hanno partecipato al disco, che per la maggior parte fanno base a Torino, ma qualcuno vive in Francia, e la cantante Maria Mallol Moya, di origini colombiane, è abbastanza nomade».

Come l’avete conosciuta e inclusa nell’organico?

«La conoscevo per altre band di cui faceva parte a Torino. Cercavo un testimone autentico di quella cultura e quel tipo di suono e tradizione da inserire nei brani che stavo scrivendo e ho pensato a lei. Non l’avevo mai sentita sul nostro genere, viene da mondi musicali molto diversi (sperimentale, garage punk) ma c’è stata una intuizione sul fatto che potesse essere la persona giusta, e il risultato ci ha convinti».

È complicato coordinare così tante persone?

«Abbiamo un nucleo di 5-6 musicisti che sono fissi con l’orchestra da più di dieci anni e possiamo contare su una ventina di professionisti, siamo abbastanza modulabili e aperti, un collettivo, una famiglia. Le personalità che subentrano guidano e cambiano il suono del concerto e ci piace molto».

E lei che strumenti suona dal vivo?

«Nel disco ho suonato anche le tastiere, le chitarre, alcune percussioni, sintetizzatori ma il live me lo godo da bassista: suono il basso e dirigo l’orchestra».

Come definirvi?

«Per questione di comodità si parla di afrobeat, musica latina, melodie mediterranee ma è difficile individuare nel disco dove esattamente siano tutti questi elementi, ne senti la suggestione ma non c’è mai un richiamo spregiudicato, per me è stato utile darmi una geolocalizzazione, quella del Mediterraneo che è un punto d’incontro di culture molto diverse ed è la cosa più vicina all’italianità».

Cosa non volete essere?

«Nel momento della scrittura mi preme non fingermi qualcosa che non sono, la paura è sempre quella di scimmiottare, cadere nell’imitazione di ciò che non ti appartiene, cerco di essere più autentico e rispettoso possibile nel maneggiare elementi dalla world music, tradizioni lontane non soltanto geograficamente ma anche a livello culturale, per trasformarli in altro. Sono italiano, nato nelle Marche, da genitori siciliani, vivo a Torino: la mia cultura è questa».

Elisa Russo, Il Piccolo 15 Aprile 2023 

Articoli consigliati