SBADABENG AL TEATRO DEI FABBRI IL 29 E 30.09.23

Un uomo, da solo, su un palco. Nessun oggetto, nessuno strumento se non il proprio corpo. Un viaggio a cavallo tra musica e teatro che farà sobbalzare il diaframma dalle risate e farà scoprire situazioni sonore inaspettate passando per il canto, il mimo e la percussione corporea. Il triestino Anselmo Luisi (diplomato in percussioni classiche al Tartini e in batteria jazz a Milano, laurea alla Bocconi, batterista dei Mombao, collaborazioni con Le Luci della Centrale Elettrica, Selton, i Virtuosi del Carso di Paolo Rossi, Wooden Legs, con Ariella Reggio in “Ottantena”) propone il suo spettacolo “Sbadabeng – Ovvero l’arte di prendersi a schiaffi” al Teatro dei Fabbri venerdì e sabato alle 20.30. 

«Sono felice di riproporre “Sbadabeng” a Trieste dopo parecchio tempo – racconta Luisi –, e di averlo portato quest’anno in Australia, al Fringe Festival di Adelaide, a El Kef in Tunisia, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura. E negli anni prima anche in Croazia, Bosnia, Finlandia, Germania, Svizzera, Marocco… quindi lo spettacolo è cresciuto, si evolve».  

Cos’è la body percussion?

«Fare musica solo con il corpo, che diventa uno strumento di percussione, come un tamburo. Più in generale, la produzione di suoni con il proprio corpo».

E come ha iniziato a praticarla?

«Il mio carissimo amico Daniel Plentz, batterista dei Selton, a Milano mi ha insegnato le basi, che ho unito a quelle che erano già le mie competenze. Da batterista, quello che trovo affascinante di questa tecnica, di cui ho tenuto anche laboratori in tutto il mondo, è che non devo portare con me niente da montare e smontare! I laboratori si possono proporre a bambini, adulti, nelle carceri minorili come negli eventi aziendali: un ampissimo spettro di possibilità».

Come nasce “Sbadabeng”? 

«Il titolo anticipa il contenuto ironico. L’idea è nata dal fatto che volevo fare un concerto di body percussion, ma mi sono reso conto che dopo venti minuti diventava noioso. Gradualmente ho cominciato a inserire altri elementi che non venivano dal mondo musicale, il mimo, la commedia dell’arte, l’interazione con il pubblico. È nato quindi uno spettacolo teatrale di un’ora, che non era più un concerto».   

Stare da solo sul palco è una sfida?

«Mi ha richiesto di sviluppare tecniche per preservare e distribuire le energie. È tosto nella misura in cui tutta la responsabilità è su di me. Ma lo è solo apparentemente, perché poi molto sta nella relazione con il pubblico: faccio da guida al gruppo di persone che sono parte della serata».  

E di solito come reagiscono i presenti?

«Cambia a seconda dei luoghi. In certi contesti sono super reattivi, in altri meno, alcuni sketch in Italia fanno più ridere di altri; in Tunisia appena accennavo qualcosa di ritmico tutto il pubblico voleva battere le mani e sentirsi coinvolto, in Finlandia mi ha colpito non fossero affatto freddi ma viceversa molto partecipi. È divertente vedere le diverse reazioni, che cambiano in ogni paese. La parte testuale è minima e non c’è la barriera della lingua, quindi si può proporlo ovunque». 

I prossimi mesi?

«Ancora impegni con i Mombao, date a Milano, a novembre repliche dello spettacolo “Clap Clap” con Giulio Settimo a Gorizia e “Sbadabeng” fuori dall’Italia».   

Elisa Russo, Il Piccolo Giovedì 28 Settembre 2023 

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