«A me interessa solo la musica. Il resto non mi piace, la fama non è così divertente»: parole di Kurt Cobain, il cui 25esimo anniversario della morte ricorreva il 5 aprile. «75 milioni di dischi. 27 anni di vita. Idolo di due generazioni. Icona di un’epoca» si legge sul retro copertina di «Serving The Servant. Ricordando Kurt Cobain» (HarperCollins, pagg 328, 19 euro), nuovo libro in cui Danny Goldberg esplora la breve vita del leader dei Nirvana, oggi mito anche di chi negli anni Novanta non era ancora nato. Per sempre giovane Kurt. Di lui resta un’immagine fissa, che non può crescere, evolversi, invecchiare. Capelli biondissimi, occhi azzurri penetranti. E quel look trasandato – camicie di flanella, jeans strappati, maglioni sformati (quello indossato nell’Unplugged di Mtv è stato venduto nel 2015 per… 140 mila dollari) – che qualcuno ebbe bisogno di definire e divenne quindi “grunge”, indicando per estensione anche il genere musicale nato a Seattle di cui i Nirvana, loro malgrado, diventeranno gli esponenti di punta. Goldberg, famoso manager musicale, li accoglie nella sua scuderia all’inizio del ’91. Il 10 settembre di quell’anno esce il singolo “Smells Like Teen Spirit”, il 24 l’album “Nevermind”: si stimava (sperava) che potesse vendere almeno 250 mila copie. E invece ne vendette 15 milioni! [Il 16 novembre ‘91 suonarono anche al Teatro Verdi di Muggia, una location che sarebbe stata impensabile poco dopo]. “La rabbia giovanile ha pagato bene”, recita un verso di “Serve The Servants”, canzone ripresa nel titolo di questo libro: Kurt ironizzava sull’improvviso enorme successo commerciale dei Nirvana.
Dal 1990 al 1994 Goldberg è dunque a stretto contatto con Kobain e nello scrivere queste pagine vuole dare un punto di vista più equo su aspetti che possono essere stati oggetto di mistificazione: «Kurt era lunatico, attaccabrighe, cattivo, buffo e stupido tanto quanto tutti noi». Una personalità sfaccettata: un depresso, un tossico, un genio creativo, sarcastico e disilluso, «Era un tipo molto divertente e intelligente. Detestava chi gli mancava di rispetto e poteva essere scontroso e sgradevole quando stava male, ma per la maggior parte del tempo era di una cortesia che è raro trovare nei geni e nelle celebrità. Era (posso dirlo?) quasi sempre un bravo ragazzo». È il suo compagno di band Krist Novoselic a dire «Poteva essere una persona splendida, dolcissima, e per me ha fatto cose veramente commoventi, ma sapeva anche essere meschino e aggressivo». Insomma, ciò che convince nella lettura è proprio la sensazione di verità del racconto, che restituisce un ritratto onesto, che non demonizza e non mitizza. Fragile da una parte, incapace di sanare ferite che si porta dentro fin dall’infanzia, Cobain sembra però essere molto forte e risoluto in tutto ciò che aveva a che fare con la sua arte. Coraggioso nello schierarsi, come quando dichiarò: «Ho una richiesta per i nostri fan. Se qualcuno di voi prova odio verso gli omosessuali, le persone di colore o le donne, fateci un grande favore: state alla larga! Non venite ai nostri concerti e non comprate i nostri dischi». Non da poco, in tempi in cui qualcuno, per un like in più, rinnegherebbe pure la mamma.
Elisa Russo, Il Piccolo 25 Giugno 2019