Seun Kuti & Egypt 80 al Teatro Miela il primo dicembre 2019

«L’arte non può essere solo intrattenimento. Ha degli obblighi nei confronti della società, nel forgiare le nuove generazioni. Per me non esiste al mondo musica che non sia politicizzata: anche quando qualcuno afferma che la sua musica non ha a che fare con la politica, di per sé è un’affermazione politica. Gli artisti, in un modo o nell’altro, devono essere ispirati dalla realtà che li circonda»: parole del cantante, sassofonista e autore Seun Kuti, protagonista di una delle serate più attese di questa stagione targata Miela Music Live, domenica alle 20, assieme agli Egypt 80 (ben 13 elementi sul palco fra ritmica, percussioni e fiati). Una vita avventurosa quella di Seun, figlio di uno degli artisti più influenti del ventesimo secolo, Fela Kuti, “The Black President”, musicista e attivista nigeriano, inventore dell’afrobeat: «Sono sempre andato in tour con mio padre – racconta –. Hanno cercato di ammazzarlo più di una volta: non sarebbe stato tranquillo a lasciarci a Lagos mentre era via per mesi. Ci sradicava da scuola, dagli amici e si partiva tutti. Ma era fantastico. A otto anni cominciai a suonare. Guardando lui pensavo che fare musica potesse essere il lavoro più facile del mondo». È il ’97 quando Fela Kuti muore, Seun ha solo quattordici anni ma è già in tour con lui e i suoi leggendari Egypt 80: «Tutti a dire che ho ereditato la band, ma ho semplicemente continuato a suonare con loro. Ancora oggi non mi sento il leader. Mio padre aveva investito molto su di me, assicurandomi un futuro e io ho seguito il percorso da lui tracciato, la mia evoluzione da adolescente a adulto con le idee chiare è stata rapida». Lafrobeat di Seun Kuti è permeato dalla storia della black music, con inflessioni rap e new soul in un succedersi di suoni e messaggi che hanno attualizzato e amplificato il retaggio culturale paterno, tra le sue influenze cita James Brown, Miles Davis, Gill Scott Heron, Timbaland e Dr. Dre: «All’inizio pensai di prendere la strada dell’hip hop o del reggae, ma sarebbe stata una scelta codarda, per evitare il confronto con papà. Poi ho capito che avrei potuto essere una stella dell’afrobeat, a modo mio».

Da poco è uscito l’ep “The Night Dreamer” registrato in presa diretta con i brani dal suo quarto lavoro “Black Times”, candidato ai Grammy Awards come miglior album world music, con la partecipazione straordinaria di Carlos Santana e altri ospiti come la cantante Nai Palm del quartetto neo soul Hiatus Kaiyote, il rapper e attivista Yasiin Bey (Mos Def) e il pianista jazz Robert Glasper (anche co-produttore, ruolo rivestito precedentemente da Brian Eno): «Questo disco – spiega l’artista nigeriano – è un vero riflesso delle mie convinzioni politiche e sociali. Più che mai sono convinto della missione e dello scopo della nostra musica, onoro i miei genitori e ogni rivoluzionario che ha fatto la differenza. Nella foto di copertina ho voluto rendere più omaggi possibile: il sigaro (che io non fumo, anche se mi dona) di Che Guevara, il berretto di Thomas Sankara (rivoluzionario del Burkina Faso), gli occhiali di Malcolm X e Lumumba (tutti citati anche nella canzone “Last Revolutionary”)». Ma cosa è davvero rivoluzionario oggi? Seun Kuti, figlio del grande Fela, non ha dubbi: «Ogni persona che si muove con correttezza e imparzialità e sta dalla parte dell’umanità e della natura è rivoluzionaria. Le élite che governano il mondo sono violente, la violenza è l’unica cosa che controllano completamente. Per loro è impossibile vincere una battaglia ideologica, ed è lì che dobbiamo prevalere».

Elisa Russo, Il Piccolo 30 Novembre 2019

sk

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