La tournée italiana delle leggende del punk Stiff Little Fingers ha fatto tappa al Teatro Miela. Formatisi a Belfast nel’77, sono stati spesso definiti come i Clash irlandesi. Sono un pezzo di storia. Roba da museo del rock, forse. Centrarono il bersaglio con l’album «Inflammable Material» del ’79, ma non sono riusciti a ripetere i fasti degli esordi nel resto della loro lunga carriera. La prima cosa che colpisce, entrando nella sala del Miela, è un enorme banchetto del merchandising. Magliette e gadget di tutti i tipi, quasi esagerato. E dietro al palco troneggia una bandiera con il logo degli Stiff Little Fingers, una fiamma, che dovrebbe bruciare ancora. Stride la presenza delle transenne, e dei cartelloni disseminati ovunque con il divieto di “stage diving”, tuffarsi dal palco. Gli SLF, durante un recente concerto hanno avuto dei problemi di sicurezza: qualcuno tra la folla ha lanciato una bottiglia, gesto assai punk. Ma il pubblico del Miela, come sempre, è davvero educato, tranquillo e paziente (vista l’attesa). La band, infatti, sale sul palco tardi, alle 22.40, e offre un’oretta di concerto con i bis da copione. Pezzi veloci, brevi, sparati. Da trent’anni sulla scena. Un’eredità a volte ingombrante. La formazione attuale comprende Jake Burns (voce e chitarra), Ali McMordie (basso), Steve Grantley (batteria) e Ian McCallum (chitarra). Al momento non stanno promuovendo un album nuovo, dicono di essere in tour per il puro piacere di farlo. Ma il sospetto che lo facciano per vendere gadget e t-shirts, si insinua maligno. All’esibizione manca spessore, anima, mordente. E non è una questione d’età, basti pensare a cosa fa sul palco un sessantunenne Iggy Pop, per citarne uno. Altro che security e transenne! Ogni tanto Burns prende la parola e si lancia in qualche sterile polemica. Ad esempio contro la tv e i reality show musicali. Neanche «Strummerville», dall’album «Guitar and Drum», che dovrebbe essere un sentito tributo a Joe Strummer, arriva al cuore. Il fuoco di Strummer era davvero un’altra cosa: sacro, appunto. La scaletta pesca un po’tra i lavori degli ultimi anni, ma non mancano i vecchi cavalli di battaglia come «Barbed Wire Love». «Devi trovare un equilibrio – afferma Burns -. Sarebbe troppo facile salire sul palco e accattivarsi il pubblico dicendo: “Eccone qua un’altra che ricordate di sicuro!”. Mi rendo conto che molti vecchi successi vengono salutati dal pubblico come si saluta un vecchio, caro amico. Immagino che questo accada a tutti i gruppi che sono in circolazione da tanti anni. Ma devo essere sincero. Ci sono delle sere in cui proprio non abbiamo voglia di suonare “Alternative Ulster” o “Suspect Device”, perché ci escono letteralmente dalle orecchie. Però mi rendo conto che qualcuno là fuori può non averle mai sentite. O non averle mai sentite dal vivo. Quindi dobbiamo per forza trovare un compromesso». Al Miela «Alternative Ulster» viene proposta nel finale, e viene proprio il dubbio che Burns e soci non avessero tanta voglia di suonarla.

Elisa Russo, Il Piccolo 29 Ottobre 2008

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