“Storie e cronache di rock italiano”

Negli anni novanta, quando il rock italiano esplodeva, hanno contribuito a costruire quella storia in evolversi luoghi come il Rototom, il Deposito Giordani, il Velvet in Friuli e, nel capoluogo giuliano, l’Hip Hop e il Miela, mentre i pordenonesi Prozac+ aprivano per gli U2 e impazzavano con la loro “Acida”: sembrano tempi lontani e gloriosi, ma oggi non tutto è perduto e c’è chi ne ha raccolto il testimone. Si può rendersene conto leggendo “Storie e cronache di rock italiano” (Arcana, pagg 351, euro 22), il secondo libro dell’udinese Federico Linossi, che nel 2021 aveva pubblicato “Litfiba, Guida completa alla discografia e ai live”. Folgorato dal rock made in Italy nel 1993, l’autore racconta il connubio tra testi in italiano e un genere storicamente anglofono, rifacendosi soprattutto alle sue esperienze dirette di ascoltatore e spettatore di concerti. Essendo Linossi friulano, la maggior parte dei live a cui ha assistito e di cui narra, si sono tenuti in Friuli Venezia Giulia, ragion per cui il volume (seppur pensato per il mercato nazionale), trova motivo di particolare interesse per i corregionali. Possiamo immaginare, viceversa, che chi legge da altre parti d’Italia trovi curioso guardare alla storia della musica italiana da un angolo geografico diverso dal solito e che sia magari incentivato a visitare queste zone, chissà, anche per “turismo musicale”. La narrazione si svolge su due filoni: la prima parte, “Storie”, sintetizza avvenimenti e intreccia la musica al contesto sociale, la seconda “Cronache” sfocia in una selezione di artisti giudicati rappresentativi. A completare l’opera le testimonianze dirette di alcuni protagonisti intervistati, un ampio apparato iconografico, approfondimenti di carattere collezionistico e digressioni varie. «Quello che comunemente viene definito rock italiano – spiega Linossi – è un movimento complesso ed eterogeneo che, negli anni Ottanta, si è affacciato timidamente sulla scena musicale nostrana per poi diventare una realtà solida e consolidata. Il mio libro ne fornisce un’interpretazione, alimentata da esperienze e quindi slegata dal concetto di guida o almanacco». 

Si viene proiettati, con un pizzico di nostalgia, in un mondo che spesso non esiste più, fatto di riviste ormai defunte (“Tutto”, “Raro”, “Il Mucchio Selvaggio”, “RockSound”), storici programmi televisivi (per ricordare VideoMusic viene intervistato l’udinese Attilio Grilloni, nei ’90 vj dell’emittente musicale, poi passato dall’altra parte delle telecamere per lavorare con Mediaset, Rai, Mtv), negozi di dischi come Mofert e L’angolo della Musica a Udine, rimpianti spazi live (il Rototom e il Deposito Giordani a Pordenone, l’Hip Hop a Trieste). Peculiare la storia del Rototom, di cui ripercorre le tappe il titolare Filippo Giunta, dalla sede di Gaio di Spilimbergo a Zoppola fino alla nascita del Sunsplash Festival, dopo varie vicissitudini a Latisana e Osoppo, oggi esportato con successo in Spagna. Ma ci sono altre esperienze che per fortuna si possono ancora declinare al presente: la Festintenda di Mortegliano, il festival di Majano, l’etichetta discografica La Tempesta creata nel 2000 dai Tre Allegri Ragazzi Morti (tutt’ora attivissima). Schede di approfondimento sono dedicate anche ad alcuni attuali luoghi della musica dal vivo come l’Astroclub di Fontanafredda, il Capitol di Pordenone e il Teatro Miela di Trieste, inaugurato il 3 marzo 1990 «Autodefinitosi “instabile” – si legge a pag 87 –, ha sempre raccolto un’ampia comunità di spettatori in cerca di svago, divertimento e desiderosi di partecipare al dibattito culturale e civile della città e del Paese (…) rifugio per molte navigazioni culturali. E non potrebbe essere diverso, considerando il suggestivo affaccio sul Golfo di Trieste». La sezione cronache, invece, sfoggia una serie di monografie di rock band italiane, scelte col solo criterio del gusto di Linossi (di conseguenza non rischiano di essere tacciate di incompletezza). Non possono mancare gli Afterhours: il gruppo milanese capitanato da Manuel Agnelli muove i primi passi a metà anni ’80, ma il passaggio dai primi album in inglese ai testi in italiano avverrà dopo, anche sull’esempio dei loro concittadini Ritmo Tribale, a cui è dedicato ampio spazio. La carrellata mescola poi molti nomi ancora in auge e altri non più in circolazione: Baustelle, Diaframma, Massimo Volume, Marlene Kuntz, CCCP, CSI, Disciplinatha, Estra, Litfiba, Timoria… Per quanto riguarda gli artisti del Friuli Venezia Giulia, oltre ad essere citati i videoclip della pordenonese Annapaola Martin, e l’udinese Matteo Dainese (menzionato come batterista degli Ulan Bator), un capitolo è dedicato al Teatro degli Orrori in cui ha militato il batterista triestino Franz Valente. Un approfondimento meritato anche per i Prozac+, nati nella Pordenone post Great Complotto da Gian Maria Accusani, Eva Poles e Elisabetta Imelio. «Scrivere questo libro – conclude l’autore – è stata un’esperienza intensa e immersiva. È stato piacevole rivivere vecchi ricordi e decisamente stimolante confrontarmi con molti protagonisti delle mie storie/cronache. (…) in un personale omaggio al rock italiano e a chi ha contribuito a renderlo visibile».

Elisa Russo, Il Piccolo 22 Settembre 2023 

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