La sbavatura d’inchiostro, l’imperfezione di una virgola, il profumo della carta, l’attesa della ricezione, la suggestione nello sfiorare lo stesso pezzo di carta toccato dal mittente, i pensieri che scorrevano liberi con la sola voglia di esprimere un’emozione reale, un sentimento puro, un pensiero incondizionato al destinatario. Questo significava scrivere una lettera o riceverla ed è questa la forma di comunicazione che The Leading Guy sceglie per il suo nuovo album «Twelve Letters» in uscita venerdì per Sony Music Italy.
Dodici lettere scritte “a cuore aperto”, rivolte a persone vive e a persone che non ci sono più. Lettere in cui, a seconda del destinatario, cambia il registro stilistico e varia l’umore, pur mantenendo la costante del pop-folk, con incursioni nel rock, che rende The Leading Guy internazionale nel sound e nelle intenzioni musicali.
Nel mezzo del cammin fugace di una email o di un messaggio WhatsApp – le attuali forme virtuali di comunicazione, sicuramente più immediate ma evanescenti per definizione – l’artista vuole ritrovare quel contatto personale, intimo e tangibile con i suoi ascoltatori, rivolgendosi loro come singoli destinatari delle proprie lettere e sperando di instaurare una reale corrispondenza epistolare nelle 19 date di maggio che lo vedranno in apertura del tour teatrale di Elisa.
The Leading Guy fa anche parte di “Faber Nostrum”, il disco tributo a Fabrizio De André, uscito il 26 aprile, con alcuni dei nomi più influenti della nuova scena musicale italiana.
«Il silenzio discografico degli ultimi quattro anni è stato essenziale per capire che strada prendere e finalmente posso condividere “Twelve Letters”. Non volevo fare un disco solo per riempire un vuoto, avevo bisogno di evolvermi e a mio parere qualcosa è cambiato. Il primo, “Memorandum”, è stato un disco in cui parlavo a me stesso mentre “Twelve Letters” ha uno slancio diverso, rivolto verso l’esterno. Ho coinvolto molti musicisti e vorrei coinvolgere anche le persone che lo ascolteranno. Il primo è stato un disco suonato in punta di piedi, mentre questo ha un’energia e forse una speranza che non credevo di possedere. Vorrei fosse ascoltato con la stessa pazienza con cui si leggevano, un tempo, le lettere».
Nell’attesa dell’uscita ha interagito con il pubblico utilizzando i social, creando curiosità, coinvolgendo le persone anche in maniera creativa: mi racconta questo tipo di interazione per quanto fatto finora e per quanto in programma prossimamente?
«La mia natura e il mio istinto mi porterebbero lontano dai social network e per molto tempo li ho usati con il contagocce. Di norma se non ho nulla da dire non mi sforzo di inventarmi qualcosa per “essere social”. In questo periodo però le cose da comunicare erano molte e i social sono uno strumento essenziale per arrivare al maggior numero di persone. Ho cercato di dare spazio alla creatività di chi mi segue con delle iniziative che spingessero le persone oltre al semplice Like, e non mi hanno deluso. In futuro chissà, per ora torno sul palco, dove sono più a mio agio».
Per la prima volta si è cimentato con un pezzo in italiano, nel tributo a De André. Come è andata?
«Analizzando la situazione, ora che il disco è uscito, sono felice. Ho ricevuto molti messaggi che onestamente mi hanno sorpreso in positivo. Quando mi hanno proposto di partecipare al progetto il primo pensiero è stato quello di rifiutare. Non avendo mai cantato in italiano mi sembrava una cosa folle e presuntuosa cominciare con un brano di De André. L’aiuto del produttore Taketo Gohara e dei musicisti che mi hanno accompagnato è stato essenziale per sentirmi a mio agio in un momento di grande insicurezza e timore. Durante le registrazioni fingevamo che quel brano non fosse di De André, ma di uno qualunque. Solo così sono riuscito a portare a termine “Se ti tagliassero a pezzetti”».
Per tutto il mese aprirà i concerti di Elisa. Cosa si aspetta?
«È stata una cosa molto spontanea e per questo ancora più bella. Ho conosciuto il suo chitarrista, nonché marito (Andrea Rigonat), a un concorso musicale in cui entrambi eravamo giudici. Qualche tempo dopo ho semplicemente chiesto se ci fosse stata la possibilità di accompagnare Elisa in giro per l’Italia. Lui le ha fatto sentire le mie canzoni, a lei sono piaciute e giovedì 2 si parte. Quello che mi aspetto è innanzitutto di “imparare” quello che un artista come lei può insegnare. Qualche tempo fa una fan mi ha scritto “Simone impara a raccogliere e solo così un giorno saprai dare”. Ne ho fatto tesoro».
Com’è il suo calendario e come si dividerà tra tour di Elisa e il resto?
«Sarà un mese impegnativo ma non vedo l’ora di cominciare. Con Elisa sarò in tour dal 2 al 31 maggio nei principali teatri italiani. Contemporaneamente promuoverò il mio disco con delle presentazioni nelle librerie, dove potrò finalmente portare e raccontare il mio “Twelve Letters”. Sarà un mese vissuto in apnea, ma è uno dei motivi per cui amo fare il musicista».
A Trieste il 31 maggio un doppio appuntamento.
«Sarà l’ultimo giorno insieme ad Elisa e fortunatamente lo passerò nella mia città. Alla Feltrinelli ci sarà la possibilità di incontrare chiunque voglia venire a salutarmi e a conoscere il mio “Twelve Letters”. Al Rossetti, la sera, ci sarà la tappa finale del tour insieme ad Elisa e prevedo una grande festa. In questo Trieste non delude mai».
Da giugno in poi?
«Dopo una piccola pausa credo partirò per un mini tour all’estero. Ad ottobre sarò sicuramente nei principali club italiani. Dopo molto tempo passato in compagnia della mia chitarra era ora di cambiare. Sto allestendo uno show a band completa che non vedo l’ora di farvi sentire».
Elisa Russo, Il Piccolo 3 Maggio 2019