“Ti racconto una canzone” (Arcana)

«Non c’è cosa che parli alle persone in maniera più diretta della musica» scrive Massimiliano Nuzzolo (romanziere veneziano e collaboratore de “Il Gazzettino” e “Rockerilla) nell’introduzione del libro “Ti racconto una canzone” (Arcana, pagg 250, euro 16,50) che ha curato in collaborazione con Eleonora Serino (anche lei collaboratrice del mensile musicale “Rockerilla”). Le canzoni che ascoltiamo, a volte per caso, a volte per scelta, spesso rimangono dentro di noi e ci accompagnano per tutta la vita. Questo libro nasce con l’idea di raccontare un momento particolare, delle emozioni, dei ricordi, e ovviamente una canzone che è legata indelebilmente a essi. Un universo sonoro che scorre accanto a noi, nei modi più disparati. Nuzzolo e Serino hanno dunque raccolto «più di quaranta autori e autrici, di ogni età, noti e meno noti, esperti o meno esperti, a raccontare con passione la loro canzone». Ne viene fuori un volume all’insegna dell’eterogeneità, sia a livello tematico che nella scelta di come incastrare la musica: per qualcuno si limita a una citazione, per altri autori diventa il motore centrale su cui costruire la narrazione. Centra il bersaglio chi, come Nicolò La Rocca, si fa ispirare dal titolo di una canzone, “Girlfriend in a coma” degli Smiths, e ci imbastisce sopra un racconto dalle tinte noir. Un tema ricorrente è quello della storia d’amore che finisce, a cui ben si abbina una colonna sonora. Per citarne uno dei più riusciti del filone: Annalisa Bruni, scrittrice e pubblicista veneziana, narra di una coppia giunta al capolinea, con le note azzeccate de “La canzone dell’amore perduto” di De André nella versione di Franco Battiato. Sempre sul tema amoroso, Ivano Mugnaini sceglie di utilizzare un classico come “Io che amo solo te”, scrive: «Di Sergio Endrigo, istriano, italianissimo, esule, poeta quasi suo malgrado, con tutta la tristezza e l’allegria di un brasiliano, il mondo intero nel giro armonico di parole lineari solo in apparenza, in realtà potentemente ineludibili: c’è gente che ha avuto mille cose/ Tutto il bene, tutto il male del mondo/ Io ho avuto solo te. Mi rendo conto che qui, in questo atto di dedizione, c’è la chitarra spezzata e data alle fiamme, c’è l’erba di Marley, l’inno di Hendrix, c’è il più antico e il più grande azzardo, quello che ci fa più paura. Capire che senza di lei, senza la musica con cui sei nato e che ti è stata data in sorte, senza la donna per cui sei nato e che ti è toccata, sei perso, morto prima del tempo». I Beatles, Piero Ciampi, Sting, Springsteen, Beethoven, Queen, Cure, Bowie, Dylan, Mark Lanegan… la colonna sonora ruota a 360 gradi, e anche le canzoni più leggere possono trovare la giusta collocazione, come nel caso di “Boys boys boys” di Sabrina Salerno che diventa un pretesto di Francesco Dezio per portare i lettori nell’estate anni ottanta o di “Ti dirò” di Valeria Rossi, scelta dall’arguto critico musicale Michele Monina. Una menzione speciale va a Domenico Mungo, che con “Brucia di vita! Fotogrammi metropolitani in b/n” dipinge la Torino anni ’80-‘90 in cui nasceva la più grande band italiana punk hardcore di sempre: i Negazione, con una dovuta dedica al loro bassista Marco Mathieu (anche stimato vice-caporedattore de La Repubblica), spentosi a dicembre dopo quattro anni di coma.

Elisa Russo, Il Piccolo 26 Febbraio 2022

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