Tutto esaurito per il primo concerto di Toni Bruna al Teatro Miela, sabato alle 21.30 per la rassegna Sound&Vision. Il cantautore triestino presenta il suo album “Fogo Nero”, uscito a dicembre a dieci anni dal fortunato esordio “Formigole”, a riconfermare un utilizzo del dialetto applicato alla musica non in modo goliardico, bensì poetico. Tanto da diventare un esempio: «Ci deve essere un errore da qualche parte – si schernisce Toni Bruna – forse la colpa è di qualche algoritmo canaglia. Spero davvero di non essere modello di riferimento per nessuno, c’è tanta di quella musica e poesia e letteratura incredibile lì fuori».
È famoso per aver suonato in luoghi inusuali. Quello più strano?
«Il più bello e inusuale nella galleria del treno, nel 2011 ormai. Insieme ai musicisti che costituivano la famiglia Toni Bruna di allora, costruimmo un palco mobile che poteva scorrere lungo i binari del treno, la gente stava all’imbocco della galleria e noi cominciavamo a suonare dalla parte opposta mentre il palco veniva spinto verso il pubblico. Tutto era alimentato a batteria; prima e dopo il concerto dj Sordo suonava con due mangiadischi 45giri, anch’essi a batteria. Che momenti!».
E in un teatro mai?
«Mi è capitato varie volte, la più bella al Teatro Rossi Aperto di Pisa, un teatro del settecento occupato che purtroppo è stato sgomberato proprio l’anno scorso».
Che aspettarsi al Miela?
«Una serata intensa, bisognerà venire ben preparati. Due ore di puro cantautorato dialettale non è roba per tutti. Sarò solo sul palco, chitarra e voce. Consiglio di cenare leggero, portarsi un thermos di caffè, frutta secca, qualcosa per tirarsi su».
Nell’album suona chitarre, lap steel, organo a pompa, pocket piano, armonica, melodica, piano e percussioni… Come li rende live?
«Nel disco in realtà gli arrangiamenti sono molto scarni, dal vivo ci sarà ancora meno. Di base alterno chitarra acustica ed elettrica e poco altro».
Da cosa nasce la scelta di fare tutto da solo questa volta?
«I musicisti con cui suonavamo hanno preso altre strade. A mio avviso etichette e agenzie oggi possono fare ben poco, finisce che spendi più di quello che guadagni e ti ritrovi al punto di partenza. Meglio viaggiare leggeri».
“Formigole” racchiudeva anche il sapore di alcuni viaggi. “Fogo Nero” è più radicato qui?
«In “Fogo Nero” i viaggi e gli ascolti fatti ci sono, ma in maniera meno esplicita. C’è sicuramente molto Carso e dintorni, il disco è maturato in questi posti durante un inverno durato dieci anni. Oggi mi sento più che mai di appartenere a questi luoghi, prima o poi mi spunteranno le foglie o diventerò un sasso».
Ci sono dei pezzi che si ispirano alla natura, altri alla periferia (le case dei puffi, Servola…). Cosa la attrae di questi due contesti?
«Entrambi hanno una loro onestà intrinseca, qualità che il centro della città oggi ormai ha perduto. Le periferie sono il nuovo centro!».
Ci sarà un tour?
«Per ora: Padova, Treviso, Bologna, Milano, Torino, Cuneo. La musica dal vivo è un’attività difficile, soprattutto in Italia, indipendentemente dal periodo. Questi ultimi anni sono stati più complicati per quelli che erano ben inseriti nella società, per gli altri non è cambiato molto. Mi pare che il vero problema è un’altra volta culturale, non sono gli eventi esterni a condizionare le nostre vite, ma come decidiamo di affrontarli. La buona notizia è che, siccome stiamo precipitando nel baratro, ci sono ottime possibilità che una volta toccato il fondo potremo felicemente risalire».
Elisa Russo, Il Piccolo 19 Marzo 2022
